Cultura e Spettacoli

"Indiana Jones? Preferisco volare"

L’attore prepara, anche da produttore, "Extraordinary Measures" nel quale sarà un biologo E rivela: "La mia vera passione sono gli aeroplani e l’elicottero per i soccorsi in montagna"

"Indiana Jones? Preferisco volare"

Los Angeles Anche Harrison Ford si stanca di ricevere copioni in cui interpreta sempre una variazione dei suoi personaggi più famosi, alla Indiana Jones per intenderci. E quindi con Extraordinary Measures, diretto da Tom Vaughn, Ford si è trasformato in produttore, ed ha sviluppato per se stesso il ruolo di un ricercatore, un rispettato biologo dell’università dell’Oklahoma motivato dal desiderio di provare le sue ipotesi scientifiche e di trovare la cura per il morbo di Pompe, una rara malattia genetica. La mancanza di fondi nella sua istituzione accademica lo costringe ad allearsi con John Crowley (Brendan Fraser), un businessman deciso a trovare una medicina in tempi brevissimi per salvare i due figli affetti dalla malattia. Il film è basato sul libro La Cura di Geeta Anand, e se la famiglia Crowley è reale, così come la scoperta del farmaco, lo scienziato burbero, poco diplomatico, amante della pesca e del country rock ad alto volume interpretato da Ford è un amalgama di diversi ricercatori, che malgrado tutto riecheggia i ruoli che hanno fatto di Ford un’icona del cinema. «Avevo voglia di dar vita a un personaggio completamente diverso da quelli che ho interpretato finora», spiega Ford «e quando ho letto La Cura ho trovato la storia che volevo raccontare. Dopo aver avuto il via libera della famiglia Crowley, mi sono messo a cercare i finanziamenti, che sono difficili da trovare per un film di questo tipo, un dramma per adulti».

È difficile mettersi nei panni di un ricercatore di alto livello, essere credibile mentre snocciola un linguaggio comprensibile a pochi?

«Ho fatto parecchia ricerca per capire i concetti che volevamo trasmettere e per appropriarmi del gergo scientifico. Lo faccio per qualsiasi ruolo, per sentirmi a mio agio ed essere spontaneo. Ma come produttore volevo soprattutto trovare modi per raccontare in maniera dinamica il processo scientifico, che avviene in gran parte nella mente del ricercatore».

Il suo personaggio e John Crowley sono complici improbabili...
«È vero, hanno interessi diversi, ma convergenti. Il dottor Stonehill non pensa a salvare bambini, ma a provare che la sua teoria è giusta. Il suo interesse è a livello cellulare, non umano. È frustrato, e quando incontra Crowley lo vede come l’opportunità per abbandonare il suo laboratorio squattrinato e provare le sue tesi. Mentre Crowley è in lotta contro il tempo per trovare una medicina che possa aiutare anche i suoi figli, e non solo i malati futuri».

Cos’è la cosa più coraggiosa che ha fatto per i suoi figli?

«Per fortuna non ho mai avuto emergenze mediche, al massimo ho dovuto portare qualcuno al pronto soccorso per una frattura».

Però un paio di volte ha agito in modo eroico anche lontano dal grande schermo, salvando col suo elicottero degli escursionisti che si erano persi in montagna.
«Sì, due persone. Ma sono solo uno dei 250 tra piloti e soccorritori che prestano servizio per il soccorso aereo nella regione del Wyoming dove vivo, e che rimangono anonimi. È imbarazzante ricevere quel tipo di attenzione, e ho quasi smesso di farlo perché un giorno recuperi un ragazzino che si è fatto male in montagna, il giorno dopo lo vedi su tutti i talk show televisivi a raccontare di essere stato salvato da Indiana Jones...».

Il volo resta comunque la sua grande passione...

«Sì, ho un elicottero e otto aeroplani diversi, e questa passione prende molto tempo, devi essere aggiornato sui diversi modelli, sulle nuove misure di sicurezza, devi volare un certo numero di ore. Per fortuna ho l’occasione di volare per lavoro: sono appena stato a Dallas e San Francisco per promuovere il film, e le prossime tappe sono Chicago e Toronto. E poi sarò cinque giorni a Wichita per un corso di sicurezza per jet».

Oltre al volo cosa la occupa di più?

«La famiglia e la lotta per la protezione dell’ambiente, che mi impegna da oltre vent’anni».

E il cinema?

«Confesso che non vado molto al cinema, se non con mio figlio Liam di nove anni, che adora i cartoni animati. E che non ha ancora visto Indiana Jones».

A proposito di Indiana Jones, ci può dire qualcosa sul numero cinque?

«Come saprete George Lucas trova il MacGuffin, l’espediente che mette in moto la storia, e poi Steven Spielberg ed io entriamo in gioco. Dobbiamo essere tutti e tre d’accordo sull’idea se no non se ne fa nulla. L’ultima volta ci abbiamo messo diciotto anni.

Ma col ritorno dei personaggi di Shia LaBoeuf e Karen Allen il film potrà evolvere in modo interessante, anche se per ora della storia non c’è nemmeno lo scheletro».

Commenti