Controcultura

Indignatevi, indignatevi: qualcosa resterà

Byung-Chul Han, mai banale, anche se non sempre condivisibile, ciò che scrive. Agli studenti oggi piace assai. E ciò dovrebbe allontanarcelo

Indignatevi, indignatevi: qualcosa resterà

Non si può certamente definire un liberale. Anzi. Byung-Chul Han è un coreano, sud coreano, che ha studiato metallurgia e ha poi deciso di vivere in Germania. Dove ha studiato filosofia e oggi insegna. Scrive in tedesco e la sua caratteristica è una certa interculturalità (e ci mancherarebbe per un coreano-tedesco) e interdisciplinarità. Mai banale, anche se non sempre condivisibile, ciò che scrive. Agli studenti oggi piace assai. E ciò dovrebbe allontanarcelo. Per due motivi, che non sono i nostri. I suoi libri sono brevi e dunque facilmente assimilabili per gli esami e in lui c'è una certa critica al capitalismo (in specie quello cinese) che piace sempre.

Leggendo nei giorni scorsi l'analisi del Censis sulla società italiana che cresce, ma che al tempo stesso è rancorosa. Leggendo di «polarizzazioni», «rimpicciolimenti», insomma scorrendo il gergo consueto degli azzecagarbugli sociologici delle nostre università, mi è venuta in mente una citazione, a mio avviso, molto più calzante dell'attuale società. E che non riguarda solo l'Italia, ma che forse rappresenta quale «rancore» diffuso, che è poi l'unica buona intuizione del rapporto Censis di quest'anno.

L'ho letta in un recente libretto di Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale (Nottetempo, 2015) Eccola. Parla di indignazione, ma voi potete tranquillamente tradurre in rancore. «Le ondate di indignazione sono molto efficaci nel mobilitare e mantenere desta l'attenzione. Per via della loro natura fluida e volatile, tuttavia, non sono in grado di strutturare il discorso e lo spazio pubblici: per questo scopo sono troppo incontrollabili, imprevedibili, instabili, effimere e amorfi. Montano all'improvviso e si disfano altrettanto velocemente. In ciò assomigliano agli smart mobs; manca loro la stabilità, la costanza e la continuità, irrinunciabili per il discorso pubblico. Perciò, non si lasciano integrare in uno stabile nesso discorsivo. Le ondate di indignazione si sviluppano spesso di fronte degli avvenimenti che hanno rilevanza sociale o politica molto ridotta». Dall'incursione dei naziskin (indignazione di sinistra) allo stupro a opera di un senegalese (indignazione di destra), dalla gratuità del riscatto della laurea (indignazione giovanile) alla riduzione del bonus bebè (indignazione materna) fino alla mancata indicizzazione delle pensioni (indignazione di vecchiaia).

«La società dell'indignazione continua Han - è una società sensazionalistica, priva di compostezza, di contegno. L'insistenza, l'isteria e la riottosità tipiche della società dell'indignazione non ammettono nessuna comunicazione discreta, obiettiva, nessun dialogo, nessun discorso. Eppure il contegno è un elemento costitutivo della sfera pubblica».

In questa società, l'avversario diventa il nemico. E tutti si aspettano, ahinoi, che l'intervento arrivi dallo Stato, che non è più l'arbitro, ma rappresenta la soluzione. Un orrore statalista, che si nutre dell'indignazione digitale.

Ma tu, se vuoi, chiamali rancori.

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