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Da Indro a Silvio la sinistra dell’odio è sempre incinta

Nel ’77 nei salotti milanesi si brindò all’attentato a Montanelli. Oggi la Bindi e Di Pietro mostrano la stessa "pietà" per il Cav. Dall'opposizione vicinanza col contagocce. E dal Quirinale soltanto solidarietà "doverosa"

Da Indro a Silvio la sinistra dell’odio è sempre incinta

Più o meno tutta l’opposizione, dopo l’assalto di piazza Duomo, ha lasciato intendere che il Cav se l’è cercata. I più truculenti sono stati Antonio Di Pietro e Rosy Bindi per i quali, sotto sotto, il premier ha meritato che gli fossero spaccati naso e denti. Ma anche gli altri hanno avuto il braccino corto nell’esprimere vicinanza al Berlusca aggredito a tradimento mentre firmava autografi.

Colpisce, per esempio, che il capo dello Stato - lui sempre così sottile - abbia parlato di solidarietà «doverosa» che, se le parole hanno un senso, vuole dire obbligata e poco spontanea. Tutto, salvo che un impulso che nasce dallo sdegno e dal cuore. Avrebbe usato lo stesso aggettivo avaro e curiale se il ferito fosse stato Prodi oppure D’Alema? Non credo proprio. Penso che avrebbe manifestato una indignazione senza riserve. Se ha scelto di non farlo col Cav è segno che la sua partecipazione non è andata al di là della mera etichetta istituzionale. Una mancanza di calore che equivale a un passo falso.
Altrettanto sconcertante che il Pd si sia limitato a definire «infelice» l’uscita della Bindi che ha ingiunto al Cav - sanguinante e con venti giorni di prognosi - «di non fare la vittima». Infelice un corno. Bisognava sommergerla di improperi, farla fuori dalla vicepresidenza della Camera e metterla in quarantena. Solo così Bersani & co. avrebbero segnato lo spartiacque tra i furiosi digrignanti e chi auspica invece un normale funzionamento della politica.
Eguale ambiguità nei commenti dei quotidiani «indipendenti» dal Corsera alla Stampa. Tutti a predicare, in stile Pierferdy Casini, che bisogna dire no alla violenza «senza se e senza ma» e in superfice solidali col Berlusca demonizzato. Però tutti pronti ad aggiungere che anche lui deve darsi una regolata attenuando i toni della polemica. Il che, tradotto, significa che l’aggredito ci ha messo del suo nell’armare la mano dell’aggressore. Pari e patta e chi ha avuto ha avuto.

C’è invece un’enorme differenza tra il Cav e i suoi avversari. Berlusconi non ha mai indicato una persona come bersaglio. Se l’è presa con istituzioni e specifici comportamenti. Alla Consulta ha rimproverato di avere tenuto un atteggiamento ambiguo. Bocciando nel 2004 il Lodo Schifani non aveva detto che ci voleva una legge costituzionale. Ne ha invece eccepito la mancanza respingendo l’analoga norma contenuta nel Lodo Alfano del 2009. Un cambio di giurisprudenza che ha sorpreso il Parlamento e lo stesso Quirinale. Berlusconi ha stigmatizzato l’inganno con parole forti ma secondo normale dialettica tra istituzioni. Idem le critiche al Csm che da organo di controllo della magistratura si è trasformato in paravento dei suoi errori, parzialità e omissioni. Non se ne deve parlare? Il Cav invece lo fa ed è nel suo pieno diritto. Lo stesso vale per gli attacchi ai magistrati. Strepita che ce l’hanno con lui e porta le prove: decine di processi alle sue aziende, migliaia di accessi, centinaia di udienze. Accusa anche le toghe di intercettare troppo, limitando la libertà di tutti e facendo strame di pubblico denaro. Si può essere d’accordo o no, ma siamo sul piano delle idee, di visioni diverse della società, nel legittimo braccio di ferro tra riformatori e adepti dello status quo.
Cosa fanno al contrario gli altri? Ogni volta che il Cav apre bocca gridano all’eversione. Se critica è per spaccare il Paese. Se vuole cambiare è per instaurare la dittatura. Se, con buone ragioni, svela le magagne della Consulta, attenta alla sua sacralità. Se si indigna per l’accusa di essere il mandante di stragi e della morte di Falcone e Borsellino - una follia a occhio nudo - saltano su i Franceschini, i Bersani, i Di Pietro che gridano al lupo: Berlusconi vuole sottrarsi alla giustizia, il Mostro non rispetta i magistrati, il Tiranno vuole essere al di sopra delle leggi. Lo mettono nel mirino come persona e lo additano al pubblico ludibrio. Dàlli e dàlli ne fanno un tiro a segno e prima o poi il fesso di turno passa dalle parole ai fatti.

Conclusione. Mentre le grida del Cav non mettono in pericolo nessuno, quelle dei suoi avversari sono una reale minaccia per lui. Non si è mai sentito che la Digos sia preoccupata per Di Pietro, la Bindi o un qualsivoglia tizio dell’opposizione. Lo è invece, eccome, per il premier. Segno che le invettive delle pretese vittime della prepotenza del Cav sono più perfide, insidiose e allarmanti delle intemerate del preteso prepotente. Se c’è qualcuno che, in questo strano Paese, aizza, non è il tiranno ma i sinceri democratici. Infatti, chi si prende il duomo in faccia è Berlusconi, non Bersani.
In Italia non mancano i mentecatti. I siti «ammazziamo Berlusconi» sono pieni di aderenti entusiasti. Gente della stessa pasta dei fan di Pietro Maso, il diciannovenne che straziò entrambi i genitori per ereditare, o di Erika la fanciullina di Novi Ligure che con centinaia di coltellate mandò al creatore madre e fratellino. Sono gli identici individui che in poche ore, dopo l’attentato in piazza del Duomo, hanno stipato Facebook di attestati euforici per Tartaglia da Cesano Boscone, il cosiddetto psicolabile. Nonostante ci sia in giro questo materiale umano, Di Pietro e Bindi, anziché farsi un esame di coscienza, hanno messo altra legna al fuoco con i loro «se l’è cercata» e «non faccia la vittima». Se, come dicono, il Viminale oscurerà i siti, andrebbero oscurati anche quei due. Lo dico per promemoria agli elettori e ne approfitto per riesumare un episodio dei tempi in cui Indro Montanelli era, come oggi il Cav, inviso alla sinistra.

Quando nel giugno del 1977 il direttore del Giornale fu gambizzato dalle Br, nei salotti milanesi di Inge Feltrinelli e di Gae Aulenti si festeggiò l’attentato. Fu stappato champagne dolendosi solo che Montanelli se la fosse cavata. L’assenza di rammarico dei Di Pietro e delle Bindi ricordano, in versione politico-proletaria, l’atteggiamento delle blasonate signore. Allora, il provocatore era Indro. Oggi è il Cav. Colpevoli di esistere e non pensarla come loro.

La sinistra dell’odio è sempre incinta.

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