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Gli integratori aumentano il rischio di morte

La vitamina A accorcia la vita del 16% quella E del 4% e il beta carotene del 7%

Se qualcuno sperava di aver trovato nelle vitamine antiossidanti l'elisir di lunga vita dovrà ricredersi. Stando a una meta-analisi condotta da ricercatori danesi è risultato, infatti, che le vitamine A, C ed E, utilizzate da milioni di persone in tutto il mondo sotto forma di integratori, potrebbero non aver nessun effetto sull'allungamento della vita, anzi.
Secondo la ricerca potrebbero essere controproducenti, aumentando il rischio di morte. Immediate le polemiche nel mondo accademico, nonostante lo studio sia stato pubblicato sul Journal of the American medical association, una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo.
I ricercatori dell'università di Copenhagen hanno analizzato 68 studi già effettuati sugli antiossidanti, che hanno coinvolto 230mila persone, non trovando alcun effetto significativo sulla longevità. Scartando le ricerche considerate meno attendibili, è emerso che la vitamina A accorcia la vita del 16 per cento, il beta-carotene del 7 per cento e la vitamina E del 4 per cento. Nessun effetto evidente, invece, da selenio e vitamina C.
Sarebbe, così, sconfessato il ruolo di difensori dell'organismo dagli attacchi dei radicali liberi, attribuito agli antiossidanti. Il condizionale è d'obbligo, «perché questo tipo di analisi va letto con molta attenzione - sottolinea Salvatore Carruba, farmacologo dell'università di Milano - sono stati messi insieme dati raccolti con modi e finalità diverse. Sarebbe interessante capire, per esempio, se è stata fatta la somma di ricerche sulla somministrazione di una singola vitamina alla volta o più, se somministrata solo in pillola oppure anche attraverso l'alimentazione».
Secondo gli studiosi danesi è «molto meglio, e soprattutto molto più salutare una dieta bilanciata rispetto a qualche pasticca multivitaminica, i cui benefici rimangono non dimostrati». Il ragionamento dei ricercatori è questo: «Considerando che in Europa e nel nord America dal 10 al 20 per cento della popolazione consuma supplementi vitaminici, i loro benefici dovrebbero apparire evidenti. E così non è. Forse perché la loro azione interferisce con il meccanismo naturale di difesa dell'organismo», ipotizzano.
«La ricetta uguale per tutti non esiste - spiega Giorgio Calabrese, docente di alimentazione e nutrizionista umana all’università di Torino - è chiaro che può diventare dannoso, se penso che quattro pasticche possano essere meglio di una. Completamente diverso è il caso di chi, con esami del sangue in mano da cui risulta un'evidente carenza, e con il supporto di uno specialista, decida di integrare il reale fabbisogno dell'organismo».
«Non c'è vitamina antiossidante in pillola che da sola può avere effetto - sottolinea Carruba - c'è invece un sistema composito che ha effetti benefici. Studi condotti sulla popolazione hanno dimostrato risultati positivi, in termini di maggiore sopravvivenza e di minore incidenza di malattie cardiovascolari e di tumori, se le vitamine, gli antiossidanti, come il vino, e i sali minerali vengono assunti attraverso l'alimentazione. L'integratore ha senso solo se c'è una carenza».


Sarà il dubbio, sarà la propensione a curarsi da sé, sarà che l'elisir di lunga vita piacerebbe a tutti, il mercato degli integratori ha un giro di affari che, solo negli Stati Uniti, raggiunge la cifra pari a 1,7 miliardi di euro.

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