Politica

Le 130 vite spezzate dalle tasse mentre lo Stato resta a guardare

Dal 2012 l'escalation di imprenditori e artigiani suicidi perché perseguitati da Fisco e burocrazia

Roma - La Spoon River della burocrazia ottusa, del Fisco che stronca, dello Stato che riscuote i debiti (anticipati) ma si tiene i crediti fino all'ultimo sangue. Risultato: una scia di suicidi che mette i brividi, una strage inesorabile e spesso silenziosa. La contabilità macabra racconta che nel 2012 si sono tolti la vita 89 imprenditori, ma nel primo trimestre 2013 l'Italia sta battendo anche questo record negativo, dopo debito pubblico e pressione fiscale: siamo già a 40 suicidi per tasse e cartelle Equitalia (ma Squinzi presidente di Confindustria parla di 62 morti). E parliamo solo di imprenditori, non di pensionati o esodati come i coniugi di Civitanova Marche, altrimenti il conto si allungherebbe di molto. L'ultimo imprenditore a farsi fuori, con una pallottola alla testa, è stato uno storico albergatore di Lipari, oppresso dai pagamenti (l'Imu, per gli albergatori, è costata l'80% in più della vecchia Ici, un colpo ferale per molti di loro già in ginocchio per il fatturato perso causa crisi, meno 7 milioni di pernottamenti nel 2012).

Al Fisco non interessa se un'azienda è allo stremo, le tasse te le chiede comunque. La lama della ghigliottina ha la forma della cartella Equitalia. Un piccolo imprenditore di Ravenna, cinquantenne, si è tolto la vita nella magazzino della sua azienda di imballaggio, un mese fa. I problemi erano iniziati dal 2001, ma andava avanti. Finché Equitalia non gli ha chiesto 47mila euro per (presunte) vecchie incongruità fiscali. Lui le ha pagate tutte, per evitare il pignoramento della casa, su cui peraltro pagava un mutuo. Ma quei 47mila euro estorti dallo Stato sono bastati per travolgere la sua impresa e la sua vita. Qualcuno deve pagare per questa vita spezzata?

La lista di imprenditori che si sono uccisi perché ossessionati dalle cartelle di pagamento è lunga, da Nord a Sud. La somma tra crisi, banche che non danno credito, pagamenti in ritardo e quelli, moltiplicati dall'aggio (salito nelle settimane scorse del 15%), che con precisione svizzera pretende lo Stato italiano, produce un cocktail micidiale, a cui molti non sopravvivono. «250mila euro», «Equitalia», e poi «Chiedo scusa a mia moglie» sono pezzi del testamento di Luigi Bignardi, imprenditore tessile di Carpi, impiccatosi nel suo appartamento l'anno scorso. Un'altra vittima della burocrazia omicida. Tre lettere ha lasciato invece Arcangelo Arpino, 63 anni di Vico Equense, titolare di un'impresa edile. La prima lettera alla Madonna di Pompei, per chiedere scusa, l'altra alla famiglia, la terza, di accuse, a Equitalia. Troppi debiti, troppi soldi da dare al Fisco senza averne più dai creditori, strozzato, così si è suicidato Ermanno Gravellino, imprenditore molto noto a Cagliari

La Tribuna di Treviso ha pubblicato la lista dei 30 imprenditori suicidi solo in Veneto negli ultimo triennio. Lì la Regione ha creato persino un numero verde anti-suicidi, a cui sono arrivate 451 chiamate in pochi mesi. «Non ce l'ho con gli impiegati che lavorano al Fisco, ma è un sistema che rovina le famiglie» ha urlato, alla testa di cento vedove di imprenditori suicidi, Tiziana Marrone, moglie dell'artigiano che si è dato fuoco davanti all'Agenzia delle Entrate di Bologna. Vittima dello Stato anche Giacomo Schiavon, imprenditore edile, travolto dai mancati pagamenti della Pubblica amministrazione. «Scusate, non ce la faccio più» è il biglietto che ha lasciato alla famiglia prima di puntarsi la pistola. La figlia Flavia ha creato l'«Associazione vittime della crisi», per lasciarla poco dopo, delusa. «Lo Stato e le istituzioni se ne fregano, come se in fondo la colpa fosse di chi si uccide». Due lettere inviate al premier Monti. «Non sappiamo nemmeno se qualcuno l'ha ricevuta o l'ha letta». Nel silenzio della politica, ci si organizza da soli. Confedercontribuenti chiede alla Corte dell'Aja la creazione di una Commissione d'inchiesta, mentre su Facebook nasce la pagina «Piccoli imprenditori e suicidi di Stato». L'alternativa è fallire, o fuggire.

E Slovenia, Carinzia, Croazia, Serbia spalancano le porte.

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