Cronache

Macché choosy: i giovani vogliono fare i contadini

Piuttosto che fare l’impiegato un italiano su due tra i 18 e i 34 anni preferirebbe lavorare la terra. Cioè l’esatto contrario di suo padre

Macché choosy: i giovani vogliono fare i contadini

Mai prendere per verità bibliche i risultati dei sondaggi, ma quest'ultimo conferma una tendenza che comunque tutti abbiamo da tempo annusato nell'aria: il mito dell'alta finanza e del terziario avanzato ci ha letteralmente disillusi. Dal Dopoguerra, è il secondo risveglio brutale. Fino agli anni Settanta abbiamo creduto ciecamente nella fabbrica, tanto da spostarci in massa verso le città industriali. Segue prima delusione. Eccoci allora travolti dall'euforia yuppista, anni Ottanta e Novanta, tutti convinti che il denaro non necessariamente debba arrivare dal sudore e dalla fatica. Nuovo equivoco. La batosta cosmica del terzo millennio, oltre ad averci squadernato altre verità, provoca ora l'effetto-retromarcia, questo generale ravvedimento contenuto nei dati Coldiretti-Swg: un italiano su tre lascerebbe il proprio lavoro per fare il contadino, la metà dei giovani preferirebbe gestire un agriturismo piuttosto che lavorare in banca.
Ci si capisce: certo non tutti quelli che hanno risposto al sondaggio hanno ben chiaro quanto duro sia il lavoro in agricoltura. La stessa idea che hanno i giovani dell'agriturismo risente molto di un richiamo nuovamente modaiolo, di immagini patinate e ruffiane alla Mulino Bianco, relax, cibo, natura e sorriso perenne, dal risveglio all'imbrunire.

Ma al netto delle nostre - solite - infatuazioni per sentito dire, per conformismo e spirito di branco, resta comunque vivo un preciso segnale: i fuochi fatui della vita metropolitana, delle carriere rampanti nella City finanziaria e nei palazzi delle multinazionali, cioè il grande mito del lavoro virtuale è esploso come la bolla della finanza.
Gli italiani, persino gli italiani giovani, non si vergognano più di amare, sognare, coltivare la terra. All'alienazione del carrierismo in giacca e cravatta, alla dittatura del risultato e del profitto, ri-cominciano a preferire la libertà e l'equilibrio, la semplicità e la concretezza della campagna, benchè sia una campagna faticosa, sudata, polverosa. Solo cinquant'anni fa la terra era simbolo di arretratezza sociale e ritardo culturale, adesso è un approdo ambìto di salute, sicurezza, serenità. Agricoltura come cibo, ambiente, qualità della vita. Come cose vere.
Non a caso, prima ancora dei sondaggi, che in fondo misurano solo orientamenti, sogni e intenzioni, risultano molto significativi altri dati, questi reali e concreti. Cresce notevolmente il numero dei giovani che rimettono mano alle aziende agricole abbandonate dai padri, cresce - del 26 per cento - il numero dei ragazzi che si iscrivono ai corsi universitari in scienze agroalimentari.

É ancora presto per dire che l'Italia sta restituendo all'agricoltura le braccia troppo velocemente sottratte nei decenni precedenti, quando padri e madri si vergognavano di avere figli sui trattori o nelle stalle e contribuivano a ingrossare gli inutili eserciti di avvocati, medici, ingegneri disocuppati. É anzi assai improbabile che l'Italia torni a diventare nazione essenzialmente agricola. Ma restiamo pur sempre il Giardino d'Europa, dannazione. Restiamo pur sempre il forziere del mondo che detiene e conserva - peraltro malamente - l'ottanta per cento dei beni culturali. Siamo il luogo del pianeta dove si cucina e si mangia meglio. Continuiamo ad essere considerati - nonostante tutto - il paradiso terrestre della vita bella, che non ha niente da spartire con la bella vita.
Ce n'eravamo scordati, riconosciamolo. Se adesso la metà di noi, anche solo a livello di desiderio, vorrebbe tornare alle origini, tirando fuori dalla soffitta della storia il nostro patrimonio migliore, questo è un buon segnale. L'agricoltura non è tutta poesia. Lavorare i campi e gestire gli allevamenti è qualcosa di molto duro, in tanti casi e in certe stagioni è più crudele e più cruento delle guerre sanguinose sui pacchetti azionari.

Ma l'idea che la nostra vita non sia più spesa per produrre fumo, ma arrosto, non ha prezzo.

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