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Che barba, che noia: sinistra regredita agli anni Cinquanta

Hollande precipita nei consensi dei francesi e Bersani si ostina a considerarlo un modello. Sì, di grigiore e ricette superate

Che barba, che noia: sinistra regredita agli anni Cinquanta

Che barba, che noia. «Una risata vi seppellirà», gridavano spensierati gli studenti francesi nel maggio del 1968: oggi uno sbadiglio affossa il più mediocre e il meno amato dei presidenti francesi: quel François Hollande che Pier Luigi Bersani - un altro allegrone - indica come modello e faro della sinistra europea, guida infallibile e garanzia sovrannazionale delle qualità di governo del Pd. Sbriciolando ogni record della Quinta e delle precedenti repubbliche, il buon Hollande ha visto precipitare in soli dieci mesi il proprio indice di fiducia dal 55% al 30%. Non era mai capitato, e difficilmente capiterà di nuovo. Neppure la guerra vinta in Mali, con annessa parata trionfale, è riuscita nell'impresa di rendere credibile l'inquilino dell'Eliseo, che ha rapidamente perduto i pochi punti guadagnati nel deserto africano.

I francesi non si fidano di Hollande, osserva il quotidiano conservatore Le Figaro, perché «le uniche decisioni utili per contrastare il rapido declino della Francia non sono decisioni socialiste». E le elenca brevemente: competitività del sistema delle imprese, aumento dell'orario di lavoro, riduzione della spesa pubblica, drastico dimagrimento di uno Stato «obeso, burocratico e impiccione», diminuzione della pressione fiscale. Tranne l'orario di lavoro (che in Francia, unico paese Ue, è di 35 ore grazie al precedente governo socialista), il resto sembra scritto apposta per l'Italia: il che aiuta a capire perché Bersani condivida con Hollande un gradimento non superiore al 30% dell'elettorato. Il socialismo vecchio stampo riesumato dal presidente francese, e proposto come lezione all'intero continente, ha seppellito la stagione del riformismo liberale di Tony Blair e del tedesco Schröder per precipitare la sinistra nel pieno degli anni Cinquanta e Sessanta: più tasse, più spesa pubblica, più Stato a tutti i livelli e per tutti i bisogni. Peccato che sessant'anni fa ci fosse il boom economico, anziché la più grande crisi economica del dopoguerra. E che la stragrande maggioranza dei lavoratori fossero dipendenti a tempo indeterminato, mentre oggi costituiscono una minoranza in continuo calo. Il piccolo mondo antico di Bersani e di Hollande scalda i cuori dei nostalgici e consola i parassiti, ma non convince gli elettori.

Curiosamente, qualche esponente del Pd è andato dichiarando in questi giorni che il 30% scarso raccolto da Bersani è più che sufficiente per governare l'Italia, perché in Francia Hollande ha vinto dopo aver preso appena il 28% al primo turno. A parte il fatto che in Italia, come è noto anche ai costituzionalisti di Largo del Nazareno, non c'è il secondo turno, il paragone con il presidente francese racconta una verità, amara per la sinistra ma incontestabile: senza il consenso degli elettori governare una grande democrazia non è affatto semplice. E diventa pressoché impossibile se chi sta al governo s'arrocca in una gabbia ideologica obsoleta, e pretende di imporre ad un Paese moderno, dinamico e creativo antiche ricette stataliste. Il grigiore bersaniano, esaltato in campagna elettorale come prova della serietà del personaggio, è al fondo il risultato di una stupefacente mancanza di idee, di una regressione politica e culturale che si rifiuta di fare i conti con la realtà e, dall'alto di una cattedra immaginaria, vuol dar lezioni al mondo intero. Un esempio? I famosi «otto punti», approvati all'unanimità dalla direzione del partito dopo un dibattito surreale durato una giornata intera e con un solo intervento di dissenso (quello di Umberto Ranieri), dovrebbero costituire l'ossatura programmatica, snella ed essenziale, di un ipotetico governo appoggiato da Grillo, ma a leggerli nel dettaglio si crolla addormentati.

Una buona metà degli «otto punti» - a loro volta suddivisi in una cinquantina di sotto-punti - rimasticano alla meglio le proposte anti-casta del Movimento 5 stelle, salvo respingere la migliore e più importante: l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (peraltro decisa dagli elettori nel referendum del '93). L'altra metà è un guazzabuglio di sogni, chiacchiere, idee generalissime che assemblano la lotta alla corruzione e le unioni civili, il diritto di cittadinanza ai figli degli immigrati e il «contrasto dell'abbandono scolastico», la riorganizzazione della pubblica amministrazione e persino - qualunque cosa voglia dire - il «piano bonifiche per lo sviluppo delle smart grid».

Che noia, che barba.

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