Politica

La tentazione della vendetta

L'antipolitica è alimentata dal senso di paura diffuso nei ceti deboli. Una moltitudine di persone è rassegnata, ma c'è anche chi medita vendette

Scientifica a lavoro sul luogo della sparatoria davanti Palazzo Chigi
Scientifica a lavoro sul luogo della sparatoria davanti Palazzo Chigi

Dopo tanti suicidi, tutti motivati da una situazione economica resa drammatica dalla mancanza di lavoro e da un sistema fiscale persecutorio, non poteva mancare un salto di qualità, per usare un'espressione in voga negli anni di piombo. Luigi Preiti non è uno squilibrato, ma un disperato. Il che naturalmente non lo giustifica, ma spiega quanto egli ha fatto: sei o sette colpi di pistola che hanno ferito due carabinieri (uno gravemente) davanti a Palazzo Chigi, in centro a Roma, in pieno giorno, nella piazza più presidiata d'Italia.
Quei proiettili, nelle prime intenzioni dello sparatore, in realtà erano destinati ad altre persone, ai componenti del nuovo governo che in quel luogo dovevano convenire per iniziare la loro attività nella sede istituzionale. Sennonché Preiti si è reso conto che gli sarebbe stato impossibile avvicinarsi ai ministri e abbatterne alcuni; ma, pur di compiere comunque un gesto dimostrativo, ha cambiato bersagli, scaricando la pistola sui militari dell'Arma.
Due uomini che indossano un'uniforme gloriosa, simbolo dell'unità nazionale, rappresentano fuor di dubbio lo Stato, esattamente ciò in cui l'aspirante omicida vedeva un nemico. Preiti non ha capito, o voluto capire, che sotto quelle divise c'erano due poveracci che si guadagnano da vivere rischiando la pelle, dato che hanno a che fare con gente come lui: gran fatica quotidiana e stipendio misero. Non c'è bisogno di essere Pier Paolo Pasolini per sapere che carabinieri (e poliziotti) non sono affamatori del popolo, ma figli del popolo e fanno quel mestiere per fame.
Questa è la verità ignorata dal calabrese autore dell'odioso reato, al quale i giudici forse riconosceranno le attenuanti della disoccupazione e di una situazione familiare fallimentare. Preiti, difatti, immigrato ad Alessandria, oltre ad aver perso l'impiego, si è separato dalla moglie ed è stato costretto per indigenza a rientrare in Calabria, terra avara con chi cerca un lavoro onesto per onestamente campare.
Si è adombrata un'ipotesi per ora priva di conferma. Il feritore non è un pazzo, ma le sue condizioni mentali non sono tali da renderlo sereno, altrimenti non avrebbe ideato un progetto del genere e, soprattutto, avrebbe desistito dal realizzarlo una volta verificata l'impossibilità di avere sotto tiro il gruppo dei neoministri. Se ha ripiegato su obiettivi più a portata di mano, una «ragione» forte ci sarà: immaginava che, dopo aver sparato, le forze dell'ordine, massicciamente presenti nei pressi di Palazzo Chigi, lo avrebbero ammazzato per impedirgli di fare altre vittime.
Non è assurdo supporre che un uomo depresso, disperato, pensi al suicidio come a una soluzione, ma non abbia il coraggio di sopprimersi, quindi architetti un piano come quello messo in atto ieri da Preiti, che avrebbe dovuto concludersi con la morte violenta dello stesso protagonista. Ma sono soltanto congetture. È certo, invece, che il fatto di cui trattiamo è carico di valenze politiche.
Da qualche anno il clima italiano è quello che è. La crisi internazionale ha azzoppato la nostra economia. La famosa e agognata crescita rimane un sogno. La luce in fondo al tunnel si accende solo nella fantasia di qualche professore supponente e illuso. Chiudono migliaia di aziende. Il costo della vita aumenta e le paghe calano. A tutto ciò si aggiunge l'inefficienza della pubblica amministrazione che ha accumulato debiti su debiti e non salda neppure le fatture ai fornitori, i quali, di conseguenza, hanno bilanci asfittici eppure sono obbligati a versare quattrini a Equitalia.
Poi c'è il disastro istituzionale. La macchina dello Stato si è inceppata. E i partiti, da lustri impegnati a farsi la guerra l'un l'altro, non ispirano più fiducia e danno l'impressione di aver abbandonato i cittadini a se stessi. La cosiddetta antipolitica è alimentata anche dal senso di paura diffuso specialmente nei ceti deboli, alle prese con gravi problemi di sopravvivenza: due milioni di connazionali disoccupati hanno smesso di cercare un lavoro persuasi di non trovarlo.
Una moltitudine di persone è rassegnata e non ha voglia di reagire, aspetta un miracolo da chi governa o dovrebbe governare. Ma c'è anche chi, esasperato, medita vendette. Per comprenderlo è sufficiente dare un'occhiata ai messaggi affidati ai social network, zeppi di insulti, dominati da un crescente livore verso il potere e i presunti potenti.

Serve una svolta. Ma chi è in grado di imprimerla?

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