Sanremo 2014

La sagra delle canzonette? Fa dormire da trent'anni

Non sorprende il calo degli ascolti, ma il fatto che la maratona canora esista ancora. Evoca un'Italia in mutande che per fortuna non esiste più

La sagra delle canzonette? Fa dormire da trent'anni

Sanremo e sonno sono sinonimi, ormai. Non lo dico per esperienza personale, dato che non ho seguito neanche per cinque minuti il Festival della canzone, di cui non mi è mai importato nulla. Parlo per sentito dire, anzi, per aver letto qua e là che la pessima manifestazione è in crisi, avendo perso ascolti. Dopo oltre 60 anni, gli italiani si sono accorti che è una boiata pazzesca e che non merita attenzione. Mi domandavo da lustri perché questo rito stracco dedicato alla musichetta avesse successo di pubblico e non trovavo spiegazioni esaustive.
Quando ero bambino - cioè alla metà del secolo scorso - la tv non esisteva. La kermesse si trasmetteva per radio ed era presentata da Nunzio Filogamo, che cominciava il collegamento con la fatidica frase: «Cari amici vicini e lontani, buonasera». È l'unica cosa che ricordo di lui. Ed è già molto. Il giorno appresso tutti cantavano Vola colomba e Papaveri e papere. Idiozie impareggiabili. I garzoni dei panettieri erano i più pronti a imparare i ritornelli scemi di maggiore orecchiabilità. In bicicletta - con la cesta piena zeppa di michette - pedalavano allegri, nonostante la vitaccia che facevano, cantando a squarciagola: «Lo sai che i papaveri son alti alti alti, e tu sei piccolina, sei nata paperina, che cosa ci vuoi far?».
Ciò che mi stupiva non era tanto l'assoluta vuotezza delle canzonette, ancora più sciape di quelle attuali, quanto il fatto che i suddetti garzoni girassero in bici indossando solo la canottiera, indifferenti al gelo tipico del mese di febbraio. O erano deficienti o avevano un fisico eccezionale. Mistero. Altri tempi. La gente, finito il tormento della seconda guerra mondiale, evidentemente si accontentava di campare. Bastava un ritornello per illuderla di aver conquistato un minimo di spensieratezza. Sanremo era una novità che suscitava letizia. Dai bombardamenti al trullalerotrullalà: era un bel progresso.
Poi arrivò il boom economico. Finalmente si mangiava due volte al dì. Male, ma si mangiava. Il popolo scoprì la gioia di farsi una doccia in casa. Il bidè fu la vittoria dell'igiene, e non parliamo del water che sostituì la «turca». La celebrazione del benessere non poteva che avvenire adottando la colonna sonora all'uopo fornita dai festival in questione. I quali festival, frattanto, si giovarono, ai fini divulgativi, della televisione che vantava un paio di miseri canali, rigorosamente monopolistici, entrambi dedicati all'educazione degli utenti, ben lieti di farsi lavare il cervello dalla Rai, emanazione del potere politico interamente gestito dai democristiani.
Non è difficile capire perché Sanremo - che si svolgeva in due serate - crebbe nella considerazione generale dei connazionali. Il cosiddetto servizio pubblico non aveva concorrenza e imponeva i costumi e i gusti graditi lassù, in alto. Niente di strano. Ciò che è accaduto successivamente ha dell'incredibile. Ci fu il Sessantotto, con quello che comportò. Ci furono gli anni Settanta, con il terrorismo indimenticabile. Gli anni Novanta e successivi sappiamo quanto siano stati decisivi nella trasformazione del Paese e del mondo. E qui ci chiediamo: com'è potuta sopravvivere a certi stravolgimenti una scemata antica, noiosa, stucchevole quale la competizione delle ugole? Che - è pur vero - si è trasformata, si è aggiornata, ha tentato in ogni modo di cavalcare l'onda, ma in fondo è rimasta ciò che era agli esordi, ovvero una pacchiana gara fra stornellatori, molti da strapazzo.
Con una differenza. Mentre negli anni Cinquanta era normale che i garzoni dei panettieri, in canottiera d'inverno, andassero in giro in bici per servire a domicilio i clienti, oggi si ordina la spesa al computer, usiamo le carte di credito, la doccia e il bidè non sono più privilegi. In poche parole: la nostra penisola è mutata, si è capovolta, gli stili di vita hanno subito una rivoluzione dalle Alpi alla Sicilia, siamo afflitti da guai che non hanno nulla a che vedere con quelli di 30, 20 e perfino 10 anni fa. Eppure, a onta di tutto ciò, siamo ancora qui a gingillarci con una maratona canora di vecchio conio che evoca il peggio della nostra storia.
Non solo, ma c'è chi si sorprende che una simile competizione, basata su acuti e gorgheggi, sia in declino e incontri scarso entusiasmo nei compatrioti, addirittura sia in procinto di cadere in disgrazia. Il problema forse è un altro: come è possibile che Sanremo abbia resistito così a lungo al logorio del tempo e non sia schiattato alcuni lustri orsono? L'Auditel indica che le canzonette attirano sempre meno appassionati? Segno che gli italiani sono in via di guarigione da quella malattia denominata «chitarrite». Se preferiscono Porta a porta, o una partita di calcio internazionale, al Festival, vuol dire che sono meno fessi di quanto pensassimo. Evviva.
Dare la colpa a Fabio Fazio e a Luciana Littizzetto del flop è ingeneroso. Loro non c'entrano se le cretinate piacciono meno. Al massimo dovranno cambiare mestiere. Più precisamente, impararne uno.

Non è mai troppo tardi.

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