Cronache

Addio Marcello D'Orta, il maestro che insegnava con i temi dei bambini

"Io speriamo che me la cavo", antologia di temi dei suoi allievi delle elementari, divenne un best seller. E un fenomeno di costume

Addio Marcello D'Orta, il maestro che insegnava con i temi dei bambini

L'odierno neorealismo napoletano ha due padri, entrambi nobili ed entrambi amanti della generosa Partenope, sirena che non inganna. Uno era Marcello D'Orta, morto ieri all'età di 60 anni, l'altro è Luciano De Crescenzo. Ma se Luciano ha affondato le radici della propria ironia e del proprio disincanto nella cultura filosofica «alta», ricreando con Bellavista e compagnia una sorta di accademia dei vicoli, Marcello l'accademia non l'ha mai frequentata. E nemmeno il liceo da docente, se è per questo.

A lungo maestro elementare, ha lavorato con gli elementi semplici di una «chimica» complessa e affascinante, quella dell'insegnamento. Ed è stato, durante e dopo la sua esperienza fra i banchi, un Totò dei temi in classe, un De Sica delle interrogazioni. Persino, se vogliamo, un Vico dei corsi e ricorsi storici di una scuola piena di risorse almeno quanto lo è di magagne. Arzano è stata la sua Sorbona, una sorta di università dell'innocenza e del candore dove a salire in cattedra sono stati i pensieri dei suoi piccoli allievi. Lui, da buon educatore, li ha raccolti, li ha antologizzati, ha dato loro un titolo sgrammaticato e, appunto, sgarrupato.

Ed ecco spuntare, nel 1990, quel tenero fiorellino che dapprima allietò e divertì, poi impensierì e, almeno in parte (si spera), responsabilizzò milioni di lettori adulti: Io speriamo che me la cavo fu un fenomeno editoriale e di costume, fu il modo nuovo per dire, tramite le composizioni degli under 10, che il re è sempre nudo, che la camorra, il contrabbando, la prostituzione, le ragazze madri sono importanti più delle tabelline e della grammatica, sono la materia quotidiana con cui dobbiamo sporcarci le mani dai sei ai novant'anni. D'Orta di qui, D'Orta di là, il maestro che sfogliava la margherita degli infanti assurse, in tv e sui giornali, al rango di personaggio «globale» quando di globalizzazione ancora non si parlava.

Lui se lo prese di buon grado, il successo, ma come un commercialista onesto si prende in carico la cura d'un patrimonio altrui. A 37 anni, si laureò a pieni voti con quella tesi di varia umanità. E divenne, informalmente, professore di lettere. Promosso da una valanga di copie vendute e dal film che Lina Wertmüller ne trasse con la complicità di Paolo Villaggio, si mise in proprio. Del resto in un'intervista del 2000 aveva rivelato di aver scelto di fare il maestro perché da bambino aveva conosciuto a Bologna il mitico maestro Alberto Manzi, il popolare insegnante elementare che per la mamma Rai degli anni Sessanta conduceva il programma Non è mai troppo tardi. Quindi nemmeno per lui era troppo tardi per intraprendere la carriera di scrittore.

Così, dopo Dio ci ha creato gratis e Romeo e Giulietta si fidanzarono dal basso, ovvero il Vangelo e il sesso visto dai bimbi, e I nonni se non ci fossero bisognerebbe inventarli, omaggio alla terza età, vennero i racconti di Nero napoletano, Storia semiseria del mondo, Elogio della bugia e All'apparir del vero, sul mistero della conversione e della morte di Giacomo Leopardi, uno fra i suoi autori prediletti, Era tutta un'altra cosa, elogio nostalgico degli anni Sessanta. D'Orta era sempre lui, aveva conservato lo stupore per ciò che si dà e ciò che si riceve sperimentato nel breve ma accidentato percorso fra l'attaccapanni e la lavagna. Scriveva bene e ne era soddisfatto, come sempre dopo una buona lezione.

È stato lui, il maestro sgarrupato con barba arruffata, a far emergere il sommerso delle nuove, nuovissime generazioni prima che il voyeurismo multimediale e socialnetworkologico le violentasse e le sbattesse in prima pagina. Il suo neorealismo partenopeo è stato amichevole, familiare, paterno. Ieri suo figlio, vice parroco della Basilica di San Francesco di Paola, annunciandone la morte ha detto che Marcello stava scrivendo un libro su Gesù.

Un altro che con i bambini ci sapeva fare.

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