Politica

Ai governi "rossi" il record di nuove tasse

I sanguisuga Prodi, Padoa-Schioppa, Visco e Amato si sono inventati sessantasette balzelli in 15 anni

Roma - «Anche i ricchi piangono», diceva quel manifesto targato Rifondazione comunista, in epoca governo Prodi. Lì all'Economia c'era il professor Padoa-Schioppa, che fornì la sua interpretazione della questione fiscale in un celebre motto: «Pagare le tasse è bello». Il suo viceministro, invece, si chiamava Vincenzo Visco, anche detto Dracula per il sottile piacere dell'imposta, alcune delle quali da lui stesso inventate. La più famosa e odiata, l'Irap, infilata nella finanziaria del 1998 dall'allora ministro delle Finanze Visco. Ed ha una caratteristica pressoché unica, non si applica agli utili ma al fatturato lordo, il che vuol dire che un'azienda può anche essere in perdita e l'imprenditore sul lastrico, ma il Fisco gli chiederà comunque l'Irap. In quindici anni si è più volte detto di eliminarla, ma finora è solo aumentata. Una tassa sulle transazioni finanziarie promette invece Bersani, se vincerà le primarie Pd e soprattutto le elezioni. È la famosa Tobin tax, definita da Monti l'equivalente fiscale del mostro di Loch Ness, «una volta appare, poi scompare, poi riappare» (di norma in campagna elettorale). Insieme a questa tassa (utile in certi casi ma molto controversa), il Pd punta anche su una patrimoniale, sostenuta ancor di più dal probabile alleato Vendola. Che addirittura ne propone tre, due straordinarie e un'altra fissa. Le prime due preleverebbero il 10% e il 5% dai beni mobili degli italiani con reddito più alto, la terza invece consiste nel 5 per mille permanente sulle dichiarazioni dei ricchi.
L'ultimo esecutivo in cui stava anche la sinistra radicale è stato quello del 2006-2008, premier Prodi. E in quel biennio le intenzioni si sono tradotte in provvedimenti. L'ex sottosegretario all'Economia Giuseppe Vegas, ora presidente della Consob, ha calcolato che a fine 2007, cioè dopo un anno e mezzo di governo di centrosinistra, la pressione fiscale era aumentata per due punti di Pil, cioè di circa 30 miliardi di euro. Che, divisi per la popolazione italiana, significano 500 euro a testa in più di tasse. È stato conteggiato anche il numero complessivo di imposte o aumenti di imposte introdotte dal centrosinistra di governo: sessantasette. Ad esempio, fu reintrodotta la tassa di successione, con un semplice cambio di nome, «dichiarazione sul trasferimento a causa di morte». E non sulle case dei milionari, ma sugli immobili a partire da 250mila euro di valore. Nuova tassa fu anche quella «di scopo», un balzello introdotto nel 2006 che ha dato ai sindaci la possibilità di applicare sulle seconde case un'aliquota fiscale per cinque anni (ma non ha avuto successo, solo 19 Comuni italiani l'hanno applicata). Poi c'è stata, sempre nel frangente Prodi, l'aumento dell'addizionale sui diritti di imbarco in aeroporto, l'innalzamento a 75 della tariffa per il rilascio del passaporto, l'aumento al 20% dell'aliquota sul rendimento dei titoli (Bot, azioni, fondi), l'aumento del bollo per l'auto e per la moto, e soprattutto il prelievo statale del Tfr. Venne deciso che nelle aziende con più di 50 lavoratori, il valore del Tfr lasciato in azienda dai dipendenti sarebbe stato usato dallo Stato, e quindi restituito al lavoratore al momento della liquidazione. «Una rapina», si urlò, «un esproprio», «una partita di raggiro», ma poi, come quasi sempre con le tasse, una volta messe è difficile toglierle. Semmai si aumentano.
Anche il precedente governo di centrosinistra, quello del 1996 sempre a guida Prodi, si era fatto notare per la destrezza fiscale. Quella fu la volta dell'«Euro tassa», cioè il contributo straordinario per l'Europa deciso per decreto dal governo come stratagemma per rispettare i vincoli di Maastricht.
Una batosta fino al 3,5 del reddito annuo, che venne presentata come una sorta di prestito d'onore allo Stato. Peccato che la compensazione fu solo del 60%, e l'effetto venne annullato dall'introduzione di due nuove addizionali Irpef. Ancora nulla rispetto al prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti bancari deciso nel '92 dal premier Giuliano Amato.

Già socialista, poi deputato del Pd.

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