Politica

Allarme Brianza: 600mila tredicesime a rischio

Imprenditori in difficoltà coi pagamenti. E un artigiano su due vorrebbe lasciare l'Italia

Produzione industriale
Produzione industriale

MilanoL'uno per cento di crescita del Pil nel 2014 e il 2 per cento nel 2015, considerati «alla nostra portata» dal premier Enrico Letta, sembrano essere più una pietosa bugia raccontata a un'economia malata che una considerazione resa reale dai numeri. Perché è con quelli e non con le parole che si deve confrontare quotidianamente un'economia reale tradita dalle promesse non mantenute della politica e dai giochi di palazzo. Così come testimonia il fatto che più di 600mila lavoratori lombardi vedono messa a rischio la tredicesima. E almeno l'8 per cento degli artigiani brianzoli vorrebbe andarsene dall'Italia in cerca di nuove sfide. Un dato che sommato al 43 per cento che dichiara che andrebbe via se solo ne avesse la possibilità, testimonia che più della metà dei micro, piccoli e medi imprenditori di Monza e Brianza emigrerebbe. Amari risultati di uno studio della Camera di commercio di Monza e Brianza e di un sondaggio dell'Unione artigiani.
Il dramma è che non si parla di un territorio depresso o di una regione in via di sviluppo, ma di uno dei territori a più denso sviluppo industriale e di terziario non solo d'Italia, ma anche d'Europa. Quello che tradizionalmente può vantare un tessuto economico in grado di sviluppare una buona fetta del Pil nazionale. Eppure c'è chi potrà pagare solo lo stipendio di dicembre (l'8,6 per cento), chi né la mensilità né il bonus di fine anno. Mentre il 14,4 per cento chiuderà il 2013 con arretrati da pagare compresi dicembre e la tredicesima. Difficoltà maggiori per nelle costruzioni con quasi un'impresa su due che avrà problemi con i pagamenti. Meglio l'industria (il 75,5 per cento prevede pagamenti regolari), del commercio (68,3 per cento) e dei servizi (67,5). Numeri da brivido se sommati a quello del sondaggio dell'Unione artigiani sul tema della crisi: per più della metà degli intervistati (51,35 per cento), occorrerà guardare al 2015 per intravedere la tanto attesa ripresa, mentre un solido 44,99 si dichiara fortemente pessimista per il 2014 non vedendo alcun segnale positivo. Ma il peggior nemico degli italiani non pare essere più la crisi, bensì il peso fiscale, giudicato insostenibile dal 72,32 per cento dei piccoli imprenditori. A ruota la burocrazia asfissiante (13,54 per cento), la rigidità del credito bancario (8,93) e le difficoltà dei mercati (5,21).
Una situazione che permane negativa - sottolinea il segretario generale dell'Unione artigiani Marco Accornero - perché il Pil e l'occupazione sono scesi, mentre le tasse sono aumentate». Nessuna consolazione dalle rilevazioni che indicano una frenata nella discesa della produzione. «È vero che la caduta si è interrotta, ma è come se fossimo precipitati dal quinto piano per atterrare sul marciapiede. La caduta forse è finita, ma siamo lì sfracellati e non siamo certo risaliti al quinto piano». Perché se rispetto al mese precedente gli indicatori non registrano una diminuzione della produzione, «il meno rispetto agli anni precedenti - spiega Accornero - per alcune aziende ha toccato il 30-40 per cento. Con un Pil in discesa del 10 per cento». Inevitabile parlare di «situazione drammatica, con un unico flebile segno di speranza nel registrare la fine della caduta». Ricordando «le parole del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi che parla di dati da economia di guerra». Con Accornero che indica le misure da adottare: «Serve una riduzione della pressione fiscale per ridare fiato ai consumi e alla domanda interna, ma per far questo lo Stato deve dimagrire.

Poi bisogna abbattere il debito pubblico vendendo il patrimonio statale e serve una riforma della burocrazia che non ci rende competitivi rispetto agli altri Paesi».

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