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Altro che pensione anticipata: Napolitano dà la linea a Renzi

Faccia a faccia in piazza Venezia, oggi vertice al Quirinale. Re Giorgio non abdica e torna in campo per guidare il premier in difficoltà su misure economiche e riforme

Il premier stringe  le mani a Napolitano all'Altare della Patria
Il premier stringe le mani a Napolitano all'Altare della Patria

Una folla dietro le transenne, un gran cerchio di uomini in scuro e, al centro, due che parlano fitto fitto. «Domani dobbiamo vederci», dice Giorgio Napolitano lasciando piazza Venezia. Il premier fa sì con la testa. «Certo, presidente, aspetto la convocazione a qualsiasi ora. Ho solo un impegno con il primo ministro ucraino Arsenij Jacenjuk, che vedrà anche il Papa, poi va bene tutto». Qualsiasi ora: Matteo Renzi è pronto a scattare sul Colle. Ha capito che King George è tornato e che ora conviene mettersi sotto il suo ombrello.

Ma in realtà Napolitano non se è mai andato via. Certo, dopo il cambio in corsa a Palazzo Chigi, dopo la fine della stagione dei tecnici e il ritorno dei governi politici, è rimasto a lungo in disparte, come se non volesse disturbare il manovratore. E la scorsa settimana, nella sua lettera al Corriere della Sera, ha persino fatto capire che le dimissioni anticipate non sono lontane: se le riforme decolleranno, se i conti pubblici terranno botta, tra meno di un anno potrebbe abdicare. Però, appunto, negli ultimi giorni le riforme si sono impantanate e il fronte economico è tornato caldo. Serve che il Quirinale riprenda le redini in mano.

Così eccolo che, nella cerimonia solenne in ricordo della Resistenza, trova il modo di avvertire Palazzo Chigi che sulla difesa non accetterà grossi tagli. Infatti, si possono «soddisfare le esigenze di rigore», però senza prendere «decisioni sommarie» che provocherebbero «incomprensioni, anacronistiche diffidenze e nuove pulsioni antimilitariste». Tradotto: il programma sugli F35 non si tocca.

Sembra solo uno stop al governo, in realtà è anche una forma di tutela, un modo di tenerlo fuori dalle pressioni degli americani. La stessa operazione Napolitano l'ha fatta giovedì, quando ha convocato Pier Carlo Padoan prima di firmare il decreto Irpef sugli 80 euro e lo ha sottoposto a interrogatorio. Riusciranno i ministeri a tagliare 700 milioni in due mesi? E gli enti locali? Quando arriveranno misure strutturali e non una tantum? Aver messo il provvedimento sotto il microscopio, aver chiesto delucidazioni sulle coperture e «sull'impatto» per il futuro, è servito a riaffermare il ruolo del Colle ma anche a dare una copertura internazionale al governo. Napolitano «condivide» la mossa spericolata degli 80 euro e spera che l'Europa allenti un po' la morsa. Il rischio è che, tra qualche tempo, Bruxelles ci chieda una manovra correttiva. Padoan non la ritiene necessaria, il capo dello Stato forse nemmeno, visto quanto ha detto a febbraio al Parlamento di Strasburgo: la politica dell'austerità a ogni costo non regge più e l'Italia ha già fatto «sforzi e sacrifici» per rispettare i patti.

Il terzo campo d'azione della diplomazia quirinalizia riguarda le riforme. Se la legge elettorale approvata alla Camera è rimasta parcheggiata in un garage di Palazzo Madama in attesa delle europee, la situazione sta precipitando sul nuovo Senato: la proposta del governo è circondata da altri 51 disegni di legge, quasi tutti a favore dell'elezione diretta.

Senza parlare dell'affondo di Silvio Berlusconi e delle difficoltà interne del Pd, con il ministro Boschi che non riesce a convincere Chiti a ritirare la sua proposta. Forse sarà solo campagna elettorale, forse il congresso democratico non finirà mai, fatto sta che Renzi rischia di andare sotto oppure di doversi fermare. In entrambi i casi si fermerebbero pure le riforme. Così l'altra mattina Napolitano ha ricevuto Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari istituzionali, per riaprire la trattativa. E oggi tocca a Matteo, al quale verrà dato un consiglio: decidi quali sono i punti irrinunciabili e negozia sul resto, cioè composizione, funzioni, compiti.

Insomma, altro che pensione, Re Giorgio è tornato.

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