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Altro che tagli, l’Italia dei campanili ora vuole più comuni e province

Dal Nord al Sud, viaggio nella Penisola delle battaglie per enti locali inutili. La Lega sogna la Regione Brescia mentre la Sicilia vuole sei nuove giunte

Altro che tagli, l’Italia  dei campanili ora vuole  più comuni e province

Roma - Patria Felix? Costa dei sogni? Napoli Marittima? Domitia? Oppure Scipio? No, non c’è gara, stravince Liternum, ecco il nome che avrà - se passerà mai il referendum già autorizzato dalla Regione Campania - il Comune nuovo di zecca che il Comitato Liternum chiede da tempo, per staccarsi finalmente dal detestato Comune di Giugliano, sempre in provincia di Napoli. Sarebbero già pronte frotte di consiglieri, assessori e aspiranti sindaci per gestire quel fazzoletto di terra nell’Italia dei mille campanili che tendono sempre a raddoppiare.

Accorpare i comuni piccoli, come voleva la manovra di Tremonti? Accorpare i servizi comunali e svuotare le Province, come prevede il «Salva-Italia» di Monti? Ma non ne parliamo proprio. Qui, se si dà corda alle spinte centrifughe dei campanili italici, di Comuni e Province ne spunteranno ancora altre e altre ancora. Ma pure di Regioni, per non farsi mancare niente. La Regione Brescia, ad esempio, come chiede in una proposta di legge il deputato e presidente leghista della Provincia di Brescia, Daniele Molgora (quello che ha fatto ricorso contro il taglio del suo vitalizio da ex parlamentare): «Modifica dell’articolo 131 della Costituzione, concernente l’istituzione della Regione Brescia». Un suo collega della Lega, il trentino Sergio Divina, propone invece una nuova Provincia, altro che tagliarle. «Onorevoli senatori - scrive il leghista nel disegno di legge costituzionale - si propone l’istituzione della Provincia autonoma Ladinia, allo scopo di garantire la tutela della minoranza ladina», che effettivamente sotto gli Asburgo «fece parte della Contea del Tirolo».

I leghisti pensano al Nord, ma il Sud ci pensa da sé a proporre altre giunte comunali o provinciali. In questa disciplina la Sicilia è imbattibile. E il comitato Piano Tavola non si dà pace, finché non avrà ottenuto che le 8mila anime ora sparse tra quattro comuni della provincia di Catania (Belpasso, Misterbianco, Camporotondo Etneo e Motta Sant’Anastasia) non saranno amministrati dal sindaco di Piano Tavola, altro nuovo Comune da realizzare. Peccato che ci si è messo di mezzo il consiglio di giustizia amministrativa, l’organo che in Sicilia ha le funzioni proprie del Consiglio di Stato e che ha dato ragione al ricorso presentato dal Comune di Belpasso, bocciando il referendum che avrebbe fatto sbocciare il nuovo Comune di Piano Tavola. Stessa ingrata sorte è toccata al comitato per l’elezione a Comune di Cassibile, borgo di circa 5.800 abitanti ora frazione di Siracusa. Anche qui, nell’ottobre scorso, si sarebbe dovuto svolgere il referendum popolare per l’istituzione del Comune, ma il gran consiglio siciliano ha bloccato tutto. Ma a Cassibile non si arrendono così facilmente.

C’è poi la frazione di Aci Trezza, quella dei Malavoglia (una frazione del Comune di Aci Castello, provincia di Catania) dove da tempo si discute della possibilità di indire il referendum per l’istituzione del Comune: ancora non è stata però avanzata ufficialmente la proposta. Più organizzati a Gela, dove un comitato per la creazione della nuova Provincia di Gela (ora la Sicilia ne ha nove) datano al 1937 il primo movimento di piazza a favore della provincia, durante un comizio di Mussolini, quando i gelesi gridarono come un sol uomo: «Duce, niente vogliamo, solo Gela provincia e bacino montano!». «La nuova Provincia - scrivono quelli del comitato - avrà la sua sede a Gela, con un palazzo di rappresentanza nel centro storico (auspicabile il «Convitto Pignatelli»), ma si decentrerà quanto più possibile creando uffici periferici in ogni comune per evitare inutili disagi ai cittadini». Non una ma mille volte Provincia di Gela! Sempre che la spuntino su Caltagirone, a due passi da Gela, che per lungo tempo ha avuto l’appoggio dell’attuale governatore Lombardo per la creazione della Provincia di Caltagirone (80mila, teorici, abitanti). Sempre in Sicilia, dall’altro versante dell’isola, premono anche i cittadini di Pioppo, che vogliono la secessione dal Comune di Monreale.

Ma il secessionismo dei campanili, alla faccia dei programmi semplificatori del governo Monti, dilaga in tutta la Penisola. «Lambrate Citta - Mai più sudditi!» è lo slogan dei secessionisti della «Costituente per Lambrate Comune Autonomo», quartiere milanese a 8 chilometri dal Duomo di Milano. Così quelli che vogliono il Comune di Marotta, ora frazione di Fano, nelle Marche. O gli autonomisti del sognato Comune di Montemare (Messina) e di Palese Macchie (Bari). Ma abolire, mai? Stando ai decreti di Monti, i Comuni dovranno condividere i loro servizi e le Province ridursi ad enti di secondo livello con meno funzioni e meno consiglieri. Sul primo, i Comuni sono già in rivolta, mentre sulle Province resta la domanda: sarebbe davvero utile eliminarle tutte?

Uno studio dell’Upi calcola nell’1,5% del Pil soltanto, pari a 12 miliardi, la spesa pubblica (e quindi il risparmio eventuale) per le Province (contro 170 miliardi di euro per Regioni e 73 per i Comuni). Un sondaggio Ipsos rivela che il 60% degli italiani non vuole l’abolizione della propria Provincia, semmai delle altre.

O, preventivamente, delle tante nuove che i tanti comitati ora vorrebbero far nascere.

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