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Altro che tesoro di Craxi: all'asta vanno i suoi cimeli

Libri, oggetti e foto: il tribunale di Milano vende la collezione per 350mila euro. E dire che si favoleggiava di un bottino. La moglie: "Andavamo per mercatini"

Altro che tesoro di Craxi: all'asta vanno i suoi cimeli

C'è persino un pezzo di sigaro che Giuseppe Garibaldi strinse fra le labbra. «Naturalmente - osserva Anna Craxi, vedova di Bettino - non è possibile verificare la genuinità di questi cimeli. Ma posso assicurarle che alla domenica, specie d'inverno, io e mio marito ci mettevamo alla ricerca: frequentavamo i mercatini d'antiquariato che si tenevano a Milano, in zona Navigli. Cercavamo, compravamo, poi ci fermavamo in qualche trattoria a mangiare». Altri tempi. Oggi l'eredità «rilasciata da Craxi Benedetto detto Bettino» è in vendita al tribunale di Milano, come comunicato con avviso pubblicato ieri dal Giornale. Il giudice punta al bersaglio grosso e spera che si faccia avanti qualcuno disposto ad acquistare «in blocco» i beni «ad un prezzo minimo di 350mila euro».

Nemmeno tanto. Certo, una cifra ridicola se paragonata alla vulgata sul presunto tesoro accumulato dal leader socialista e messo in salvo, secondo alcune leggende metropolitane, nel rifugio di Hammamet. In realtà l'elenco, sterminato, di quei beni documenta più che la ricchezza e il lusso dell'ex presidente del Consiglio la sua irrefrenabile passione, la curiosità, il disordine creativo e naturalmente, l'ossessione per Garibaldi. Ci sono i libri, le biografie dell'eroe dei due Mondi: più di centocinquanta. Le medaglie. E poi i quadri, le incisioni, le acqueforti, le figurine Liebig con gli episodi della spedizione dei Mille, addirittura una scatola portaburro perché il liberatore del Sud era effigiato ovunque. «C'è un'acquaforte con La battaglia di Ponte Ammiraglio firmata da Renato Guttuso - racconta Bobo - so che Guttuso era amico di papà e gliela regalò». «Mio marito - aggiunge la vedova - passava gran parte del tempo libero ad occuparsi di Garibaldi. Io stesso l'ho accompagnato almeno tre volte a Caprera. Leggeva tutto quello che era in circolazione, si aggiornava e teneva d'occhio le bancarelle. Naturalmente si prendeva quel che si trovava: pezzi semplici, spesso disponibili ad un prezzo molto modesto».
Ma l'eredità non è chiusa dentro il perimetro garibaldino. I cimeli, o i ricordi come li chiama la signora Anna, abbracciano le molte dimensioni di Craxi: lo statista, il politico socialista, l'ambasciatore dell'Onu per il problema della fame nel mondo. E così nella lista, incredibile, entrano perfino «due proiettili da contraerea inattivi, una bomba a mano tipo ananas, un pugnale da armamento, un pugnale giavanese, un coltellaccio da cerimoniale del bacino del Congo». E poi una pelle intera di leopardo e un'altra di orso polare. E ancora disegni, con prevalenza di nudi femminili e la firme di grandi artisti: Egon Schiele, Gaetano Previati, Jean Cocteau. Stampe. Incisioni. Oggetti d'arte. E la lunghissima galleria garibaldina: porcellane, bronzi, bottiglie di vetro. Lettere autografe. Quadri. Acquarelli. E «Tutti questi oggetti - spiega la signora Anna - ci furono regalati o furono acquistati nell'arco di quarant'anni ed erano sparpagliati fra gli uffici di piazza Duomo, quelli di via del Corso a Roma, l'hotel Raphael e la casa milanese di via Foppa. Avevamo allestito delle vetrinette in corridoio e lì si potevano ammirare alcuni pezzi. I proiettili arrivavano dai luoghi della Tunisia in cui le truppe dell'Asse avevano tentato un'ultima resistenza prima di imbarcarsi, e molto altro fu preso in Africa, fra un viaggio e l'altro in Somalia, in Etiopia, in Kenya».

Il resto è cronaca di un declino. Tangentopoli, Mario Chiesa il mariolo. Le monetine e gli sputi. Il faccia a faccia con Di Pietro. Gli avvisi di garanzia e gli ordini di custodia. Craxi trova riparo ad Hammamet, dove morirà il 19 gennaio 2000. Nel '97 a Livorno la Guardia di finanza sequestra un carico in partenza per la Tunisia. Dentro quegli scatoloni ci sono le medaglie, i dipinti e tutto il resto. Si favoleggia di un tesoro luccicante. Poi la burocrazia ha la meglio su tutto. La collezione resta a impolverarsi in un deposito delle Fiamme gialle e nei locali della Soprintendenza di Pisa. Passano gli anni e anche la Seconda repubblica volge al tramonto. La famiglia Craxi ha accettato l'eredità con beneficio di inventario. In realtà quel museo planetario porta con sé una buona dose di guai e diventa off limits per la vedova e per i figli. Accettare quei beni vuol dire aprire la diga che tiene lontani i creditori dei molti procedimenti innescati da Mani Pulite. Meglio rinunciare. Per non trovarsi impiccati a richieste esorbitanti. Così, dopo tanto tempo, il tribunale si rivolge al mercato per collocare il corpus craxiano. «Mi piacerebbe molto ricomprare la collezione garibaldina - racconta Stefania Craxi - ma non abbiamo i soldi, la Fondazione che porta il nome di mio padre resterà fuori dall'asta, tutta questa vicenda resta dolorosa, ingiusta e infame». «Dopo il danno la beffa - sintetizza a suo modo Bobo - il ricavato dell'asta andrà ai creditori del Banco Ambrosiano». Amarezza e nostalgia, ma a ciglio asciutto. «È andata così - si congeda Anna Craxi - ormai sono una cittadina tunisina e vivo ad Hammamet. Dall'Italia mi arriva solo una pensione di circa cinquemila euro al mese. Vorrei stringere fra le mani qualche souvenir garibaldino, ma a Milano non metto piede da tre anni.

Davvero non ho rimpianti». 

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