Politica

Ambrosoli si aggiudica le primarie radical chic

L’avvocato sfiora il 58%, Di Stefano supera la Kustermann. Pisapia: "Se non si vince qui non si vincono le Politiche"

Andrea Di Stefano e Umberto Ambrosoli
Andrea Di Stefano e Umberto Ambrosoli

Milano Gli stakanovisti del voto arrivano ai seggi per la terza tornata di primarie in venti giorni. Un'avanguardia incurante della neve e armata di colbacco. Sono circa centocinquantamila, numero molto inferiore agli oltre quattrocentomila che si erano mobilitati per Renzi e Bersani. Questa volta si votava per scegliere il candidato presidente della Regione Lombardia del centrosinistra, colui che sfiderà il (non ancora designato) concorrente di centrodestra. Che sia Roberto Maroni o Gabriele Albertini. O entrambi.

Ha stravinto il superfavorito Umberto Ambrosoli (57,6%), ma l'obiettivo Pirellone non ha scaldato: ad animarsi per arrivare ai seggi elettori molto motivati. Militanti. Milanesi. E pochi i giovani, nonostante le regole permettessero di votare anche ai sedicenni. Il vincitore è membro del consiglio d'amministrazione di Rcs (da cui ha promesso dimissioni immediate in caso di vittoria alle primarie), portato in palmo di mano dalla finanza bianca lombarda, dal sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e dai vertici del Pd. Al punto da cambiare le regole del gioco pur di convincerlo a correre in sicurezza.
Secondo classificato Andrea Di Stefano (23%), giornalista impegnato sui temi dell'economia e della finanza etica, molto votato a Milano. Segue Alessandra Kustermann (19%), 59 anni, primario ginecologo della Mangiagalli, fondatrice del Centro antiviolenza sulle donne.

Vittoria mutilata dal flop di partecipanti? In parte sì, soprattutto se si pensa che le primarie del centrosinistra sono state ribattezzate del Patto civico, per allargare oltre i partiti la platea, che si è invece ristretta come per un film d'essai. Piaciuto al pubblico milanese: i votanti del capoluogo sono più della metà del totale e certo non rappresentativi dei gusti delle valli bergamasche o della Valtellina, che però andranno al voto vero a febbraio.
Ma torniamo a Umberto Ambrosoli. Quarantuno anni, una moglie e tre figli, avvocato figlio di un altro avvocato, Giorgio Ambrosoli, assassinato nel 1979 da un sicario assoldato dal banchiere Michele Sindona, su cui stava indagando. Aver diffuso l'eredità paterna con la passione per la «legalità» è stato il punto forte della sua candidatura. E anche il punto debole, perché i competitors, non sempre compagni, lo hanno accusato di mancare di qualsiasi esperienza politica e amministrativa. Nella sua biografia, con un certo candore, lui racconta come esperienza da curriculum l'elezione nel consiglio d'Istituto del Liceo Classico Manzoni.

«Non basta partecipare alle primarie per avere un posto d'assessore» diceva già a metà pomeriggio, spinto dalla certezza di avere la vittoria in tasca. I tre contendenti ora si giurano lealtà nella campagna elettorale per la Lombardia, che sarà determinante non solo alle latitudini Nord.

Lo dice Pisapia, da In Onda su La7: «Se non si vince in Lombardia, non si vince nemmeno a livello nazionale».

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