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Articolo 18, Napolitano: non ci sarà nessuna valanga di licenziamenti

Il Colle: "La riforma del lavoro era da fare". Scontro sull'articolo 18. Bersani: modifiche o chiudiamo il Parlamento. Ferrero: "Organizzeremo la rivolta"

Articolo 18, Napolitano:  non ci sarà nessuna valanga di licenziamenti

"Era un riforma da fare, non ci sarà una valanga di licenziamenti facili e in Parlamento si arrivà a un risultato valido". Non ha dubbi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano sulla riforma del mercato del lavoro, approvata oggi, con la formula "salvo intese" (cioè quando un testo non è ancora definitivo). Il governo ha comunicato che si tratta "di una riforma lungamente attesa dal paese, fortemente auspicata dall’Europa e per questo discussa con le parti sociali con l’intento di realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo"

Per il capo dello Stato "il problema più drammatico sono le crisi aziendali, le aziende che chiudono, i lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro non attraverso l’articolo 18 ma per il crollo di determinate attività produttive" e per questo "bisogna puntare soprattutto a nuovi investimenti, nuovi sviluppi e nuove iniziative in cui possano trovare sbocco soprattutto i giovani".

Ma lo scontro sull'articolo 18 non si placa. Da un lato c'è il governo che tira dritto e dall'altra parte pezzi di opposizione e la Cgil che fanno muro. L'esecutivo, dopo aver dichiarata chiusa la questione, ha ribadito il concetto: "Nessuna marcia indietro". Il leader della Cgil, Susanna Camusso invece continua nella sua strenua opposizione, sostenendo che le modifiche all'articolo 18 rendano solo "i licenziamenti più facili". 

Le altre sigle sindacali si situano nella linea più morbida, anche se, nelle ultime ore, Cisl e Uil hanno espresso dubbi sulla possibilità di reintegro nei casi di licenziamento economico.

"Ciascuno è libero di fare quello che vuole, è legittimo. Spero che in un clima così infuocato si stia attenti a quello che si dice, nell’usare termini perché la situazione è grave, ognuno dovrà avere responsabilità", ha provato a gettare acqua sul fuoco il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ai microfoni del Gr3 Rai, commentando la decisione della Cgil di una mobilitazione contro la riforma del lavoro.

Il leader Cisl ha poi spiegato che "l’articolo 18 per le discriminazioni e gli abusi mantiene tutta la sua intera efficacia, l’altra questione riguarda i licenziamenti economici su cui non siamo soddisfatti fino in fondo e siccome, da quello che è stato detto, si dovrà predisporre un disegno di legge che dovrà transitare in Parlamento, noi pensiamo che lì ci potrà essere l’occasione per migliorarlo".

Al fianco della Camusso, ci sono Di Pietro, il segretario della Fiom, Maurizio Landini e gli ultimi arrivati Lega e Cei, che formano quella che si può definire la Santa alleanza del no sull'articolo 18.

La riforma del mercato del lavoro "parte con intenzioni giuste (superare il doppio binario precari - garantiti e attrarre investimenti stranieri in Italia) e finisce con un doppio disastro: licenziamenti facili e scoraggiamento agli investimenti", ha tuonato il responsabile lavoro e welfare dell'Italia dei Valori, Maurizio Zipponi, in un'intervista al quotidiano Il Riformista.

Il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero non usa mezzi termini invece: "Le prossime settimane peseranno molto o in bene perché il popolo riprenderà in mano il suo destino, oppure in male perché passa l’annichilimento. Saranno settimane decisive e noi saremo lì a organizzare la rivolta contro questa politica".

Più ambigua la posizione del Partito democratico, diviso al suo interno e considerato (anche dalla sua stessa base) ostaggio di Fiom e Cgil.

"Il Pd una linea ce l’ha ed è molto chiara: la riforma del mercato del lavoro deve diventare un disegno di legge e non un decreto. L’articolo 18 deve essere modificato in Parlamento sul modello tedesco reintroducendo la possibilità del reintegro. E quando si voterà il gruppo dovrà essere unito. Non ci possono essere casi di coscienza", ha spiegato il presidente dei deputati del Pd, Dario Franceschini, in un’intervista al Fatto quotidiano.

Il segretario democratico, Pier Luigi Bersani ha lanciato una sorta di ultimatum a Monti, affermando di essere "sereno che sull’art.18 si vorrà ragionare altrimenti chiudiamo il Parlamento e così i mercati si rassicurano". Bersani ha poi aggiunto che "nel chiedere correzioni alla norma sui licenziamenti per motivi economici noi siamo molto convinti. Su tutti i decreti il Parlamento è intervenuto e sono sereno che anche questa volta si vorrà ragionare altrimenti il Parlamento lo chiudiamo e così i mercati si rassicurano".

Insomma, i vertici del Pd sperano in una modifica della riforma in Aula, tale da placare la furia di Fiom e Cgil e ricompattare il partito. Intanto la situazione nelle strade e nelle fabbriche rischia di diventare incandescente. Dopo i blocchi di ieri, una nota della Fiat descrive l'instabilità delle condizioni lavorative nelle fabbriche.

"La prossima settimana si fermerà l’attività degli stabilimenti Fiat di Pomigliano e Cassino e anche le quote di mercato del Lingotto saranno evidentemente influenzate in modo negativo.

Le aziende automobilistiche stanno subendo gravissimi danni in conseguenza dello sciopero in atto da oltre un mese", recita il comunicato del Lingotto, aggiungendo che "non si vedono segnali che facciano pensare alla fine dell’agitazione e anzi la situazione sembrerebbe in peggioramento con il verificarsi di numerosi episodi di violenza tra cui incendi di automezzi, minacce e aggressioni di autisti che non aderiscono allo sciopero". 

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