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I forcaioli piangono D’Ambrosio ma nessuno lo difese dagli spioni

Il giorno dopo la morte del suo consigliere Napolitano si chiude nel silenzio: "Non fatemi parlare...". E pure chi ostacola la legge sulle intercettazioni versa lacrime di coccodrillo

I forcaioli piangono D’Ambrosio ma nessuno lo difese dagli spioni

Ora piangono tutti. E tutti rimpiangono Loris D'Ambrosio, il consigliere giuridico del presidente della Repubblica ucciso da un infarto. La camera ardente, allestita al Quirinale, è stata visitata da una delegazione del Pd, capeggiata da Anna Finocchiaro, poi da un gruppo del Pdl, guidato da Angelino Alfano, e ancora da Pier Ferdinando Casini, accompagnato da Roberto Rao. Un pellegrinaggio istituzionale, con quel velo di stucchevole retorica che in queste occasioni non manca mai. Dov'erano i politici quando D'Ambrosio veniva bersagliato dai giornali e si strologava sul numero effettivo delle sue telefonate con l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino? Da Londra, in festa per le Olimpiadi, Giorgio Napolitano decide di non associarsi al clima lacrimevole di queste ore: «Preferisco non parlare di queste cose al momento». Del resto, il capo dello Stato ha già espresso il suo «rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni»; ancora ieri ha firmato su alcuni quotidiani un duro necrologio in memoria del suo consigliere e oggi alle 16.30 dovrebbe partecipare ai funerali.
Intanto, con un'intervista al Messaggero, il vicepresidente del Csm Michele Vietti prova a fare un passo avanti: la riforma delle intercettazioni, è il suo parere, va fatta «adesso», perché «è del tutto incoerente lamentarsi dei guasti del sistema e poi non portare a termine una ragionata e condivisa opera di riforma». Ha ragione Vietti, solo che pure lui dovrebbe ricordare i ripetuti tentativi del governo Berlusconi di portare a casa nuove regole per le microspie. Sfortunatamente quelle bozze sono tutte finite nel cestino. E la legge è sempre la stessa, non è mai stata modificata anche se è da anni che se ne parla. Ora anche Antonio Ingroia, ovvero il leader del gruppo di magistrati che ha intercettato Mancino, e di conseguenza la presidenza della repubblica, esprime dolore per la scomparsa improvvisa di D'Ambrosio. Sacrosante le parole del magistrato, come quelle del coro di voci che ha partecipato al lutto. E però non basta sventolare i fazzoletti o esibire la stima che si aveva per chi non c'è più. Ci vorrebbe un passo diverso, ci vorrebbe una nuova legge, non punitiva e condivisa da tutti i soggetti interessati, però alla fine si dovrebbe guardare il fiume dei dubbi. Ingroia ha anche scritto un libro, «C'era una volta l'intercettazione», in cui parla all'imperfetto di un quadro normativo che invece è rimasto uguale. E in cui, semplificando ma non troppo, tutti intercettano tutti. Anzi, da Mani Pulite in poi, quelli che si mettono di traverso ad ogni cambiamento sono spesso gli stessi che poi s'indignano per la minima violazione della privacy o per gli effetti collaterali della pubblicazione di un colloquio riservato.
Insomma, è un cortocircuito quello che Vietti denuncia. Solo che dopo tanto tempo il ritornello è pura ipocrisia. Quando, nell'estate del '93, si suicidò Raul Gardini, forse turbato dall'annunciata pubblicazione di verbali che lo chiamavano in causa, tutti lanciarono l'allarme: il sistema doveva essere cambiato. E invece non è successo niente: le deposizioni continuano ad uscire come le telefonate, anche le più riservate, e tutto il resto.
Il cantiere giustizia è deserto. Solo oggi, col Quirinale pieno di spifferi, tutti corrono in soccorso di Napolitano. E persino Eugenio Scalfari tuona contro lo strapotere della magistratura. Quando a protestare - e ha protestato parecchio - era il Cavaliere, o qualche big del suo esecutivo in odore di guai, tutti giravano la testa dall'altra parte. E forse, se il Lodo Alfano non fosse stato travolto dalla Corte costituzionale, oggi non saremmo a questo punto.

Tutti in coda per un funerale.

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