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Atene, il terzo salvataggio può costare caro all’Italia

L’attacco speculativo all’Europa continua: per sostenere gli sforzi dei greci servirà un nuovo prestito da 12 miliardi in due anni. Chi paga? Il 17% sarà a carico nostro

Atene, il terzo salvataggio  può costare caro all’Italia

È durata poco la soddisfazione ai vertici dell’Eurozona per il fatto che in Grecia hanno vinto i partiti che vogliono che il Paese rimanga nell’euro. È errato supporre che ciò farà diminuire i problemi del nostro debito pubblico, per non parlare di quello spagnolo.

Infatti, l’euro continua a essere sotto attacco come prima, semmai più di prima, perché comunque la Grecia ha bisogno di aiuti addizionali e non si sa se, e quando, e come l’Unione europea decida di darglieli. In ogni caso, l’Italia dovrà pagare ancora per la Grecia, salvo nell’ipotesi di miracoli, che spiegherò più avanti.
L’attacco speculativo contro l’euro da parte della grande finanza dell’area del dollaro, che vorrebbe sopprimere la moneta europea, continua con l’appoggio degli economisti keynesiani di sinistra, capeggiati da Paul Krugman. Questi sostiene che ora l’Eurozona sta peggio che se in Grecia avesse vinto la sinistra estrema, avversaria dell’euro. Il che non è vero: la scelta era tra un terremoto di scala 10, con la Grecia in rivolta e nel caos, e uno di scala 6, con una coalizione di centrodestra che deve cercare l’incerto aiuto europeo. Ci siamo presi il terremoto di scala 6, con il caseggiato europeo in gran parte non a norma, che ha crepe che si accrescono, sotto l’attacco della finanza internazionale. Il Wall Street Journal scrive, pessimisticamente, che la maggioranza del nuovo governo greco, costituita da Nuova Democrazia (il centrodestra) e il Pasok (i socialisti) è piccola e per sua natura instabile. Il nuovo governo, con i 129 seggi di Nuova Democrazia e i 33 del Pasok ha 162 seggi contro i 138 dell’opposizione, una maggioranza sottile. E alla Grecia, che ha un Pil di 240 miliardi, per ridurre il deficit dal 10 del Pil al 5,5% servono 11 miliardi. La manovra del precedente governo è insufficiente, essendoci una recessione, con decrescita del 5% del Pil che riduce le entrate. Maggiori tasse distruggerebbero quel poco di energie produttive che è rimasto. E i nuovi tagli di spesa non sono possibili in modo rapido, nella misura desiderata. In Grecia ci sono pensioni e salari troppo alti, un benessere fittizio. Basti dire che il Pil pro capite greco è 24mila euro, contro il nostro di 26mila, con una differenza abissale di capacità industriali. Atene, così, ha un enorme deficit di bilancia con l’estero.

Sino ad ora la Grecia ha ricevuto aiuti per 240 miliardi di euro. Potrebbe rimettersi a posto solo se riprendesse a crescere. Ora ha bisogno di un aiuto, per mantenere il deficit al 7-8% quest’anno e scendere al 5% nel 2013. Dunque le servono 12 miliardi nel biennio. Una parte potrebbe venire dal bilancio europeo, che è di 140 miliardi, con stanziamenti straordinari del fondo regionale di sviluppo e del fondo sociale, ma temo che questo miracolo non accada. E temo non accada l’altro miracolo, che la Bce presti alla Grecia altri 12 miliardi, comprando suo debito pubblico a basso tasso. Ammesso che l’Unione europea si decida a concedere altri soldi alla Grecia la farà con il Fondo salva-Stati, a cui noi italiani contribuiamo al 17%. Per ora, però, Angela Merkel è sul negativo e regna un gran scetticismo sul futuro dell’euro. Ciò anche per l’errore di Monti, che insiste nel chiedere alla Germania che accetti l’emissione degli Eurobond. Questi consistono nel mettere insieme, in un unico pacco di debito pubblico europeo, i debiti italiani, tedeschi, francesi, spagnoli, portoghesi e compagnia bella.
Bild, giornale popolare tedesco diffusissimo, pubblica la foto di Obama, Hollande (neopresidente francese), Barroso (il presidente portoghese della Commissione europea), Rajoy (il premier spagnolo) e Monti col titolo «Questi vogliono i nostri soldi». Il risultato è preoccupante perché, mentre su ciò la Germania non cede, questa richiesta la fa irrigidire sul resto. E ciò avvalora la sensazione degli operatori che l’euro non reggerà.

Monti dovrebbe unirsi a Draghi nel chiedere che si faccia l’unione bancaria europea per mettere ordine nelle banche e rilanciare il credito, e si attui un programma europeo di investimenti con progetti robusti per invertire la recessione che rende difficile riequilibrare i bilanci e ridurre il rapporto tra debito e Pil, in quanto riduce il Pil.

E comunque la politica di crescita occorre per l’Italia, che non è la Grecia, e deve pensare ad aiutarsi da sé.

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