Politica

«Basta diffidenza con chi fa impresa»

MilanoA Umberto Ambrosoli tocca incarnare le speranze (anche) della sinistra a Milano e in Lombardia senza avere né il percorso né le stimmate del militante socialprogressista. Dal padre Giorgio, l'eroe borghese fatto uccidere da Michele Sindona, militante monarchico, ha ereditato una diffidenza verso la politica dei proclami. Sa che la parte più gauchiste del suo schieramento per questo suo dna lo sente un po' estraneo. Ma non se ne fa un problema. E oggi sceglie di affrontare con risolutezza uno dei temi su cui la sinistra è da sempre più refrattaria ai cambiamenti: la flessibilità del mercato del lavoro. «Le resistenze ci sono, lo so. Ma la realtà è che oggi ci sono milioni di persone prive di occupazione e che sono meno interessate al sistema di garanzie cui ci siamo abituati da tanti anni di quanto lo siano alla possibilità di avere un lavoro».
Quindi, in sostanza?

«Quindi abbiamo presentato una interpellanza alla giunta regionale per spingerla a sostenere l'emendamento presentato al Senato da Piero Ichino per una normativa sperimentale del mercato del lavoro, che per tre anni consenta di stipulare contratti con una identificazione precisa dei criteri di interruzione del rapporto, con il pagamento di una mensilità al momento della chiusura, e con la impossibilità di sindacare da parte di terzi e quindi di ricorrere al giudice del lavoro, salvo discriminazione».
Ichino per avere combattuto per anni in questa direzione ha dovuto lasciare il Pd.
«L'interpellanza è stata firmata anche dal capogruppo del Pd in consiglio regionale e da Onorio Rosati, che è l'ex segretario della Camera del lavoro di Milano. Vuol dire che anche all'interno del Pd oggi ci sono aperture importanti. La verità è che la diffidenza verso la cultura di impresa dobbiamo relegarla in soffitta. A me capita spesso di parlare di impresa e trovo solo consenso quando dico che non dobbiamo distinguere tra lavoro e impresa: non c'è il bene da una parte e il male dall'altra, la promozione dell'impresa è il presupposto per la crescita del lavoro».
L'emendamento Ichino si muove sulla falsariga dell'accordo appena firmato per Expo, che molti però si sono precisati a dichiarare non prorogabile e non esportabile.
«Ma se un sistema funziona perché bisogna rinunciare in modo ideologico a usufruirne? Io dico: applichiamo questo schema di flessibilità per tre anni anche ai lavori connessi a Expo in modo meno diretto, al turismo, ai servizi, al manifatturiero. Expo e un occasione non solo di mercato ma anche di innovazione per uscire dai nostri meccanismi che non stanno reagendo alla crisi. E alla fine potremo valutare empiricamente, direi scientificamente, se i vantaggi sono stati maggiori delle controindicazioni. Oggi la realtà è che molti imprenditori come preoccupazione hanno: “Non so neanche se fra un anno esisterà ancora l'euro, cosa vuoi che vada a prendere una, dieci o venti persone che devo tenere a libro paga tutta la vita?”».
Sul tavolo, Ambrosoli ha il libro di Luca Tarantelli, figlio di Ezio. «Quando venne ucciso Tarantelli ero un ragazzino.

Ma leggendo questo libro mi sto rendendo conto di quanto in questo paese l'innovazione nel mercato del lavoro sia un tema che si fa fatica a affrontare».

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