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Berlusconi dà l'altolà al Pd: "Basta patenti di democrazia" il retroscena

Il Cavaliere contrariato dopo il veto di Violante e Renzi sulla presidenza della Convenzione: "Siamo responsabili, se oggi c'è un governo è grazie a noi"

Berlusconi dà l'altolà al Pd: "Basta patenti di democrazia" il retroscena

Tace il Cavaliere. Almeno pubblicamente. Ma che non abbia affatto gradito l'altolà arrivato prima da Violante e poi da Renzi su una sua eventuale presidenza della Convenzione che dovrà mettere mano alle riforme istituzionali non è un mistero per nessuno. Tanto che il fuoco di fila che si alza dalle parti di via dell'Umiltà è imponente come non accadeva da tempo.

D'altra parte, sul punto Berlusconi non è intenzionato a mollare di un centimetro. Non solo perché l'idea di presiedere i 75 che dovrebbero riscrivere la Costituzione per alcuni versi lo alletta davvero, ma anche per una questione di principio. Perché – è quel che va dicendo ormai da qualche giorno a chi ha occasione di sentirlo – se il clima è quello delle larghe intese allora «è arrivato il momento di farla finita con le conventio ad excludendum», con un Pd che «distribuisce patenti di democrazia». «Prima si sono presi le presidenze di Camera e Senato ma poi in due mesi non sono riusciti a fare uno straccio di governo e – ripete ai suoi l'ex premier – alla fine hanno dovuto chiedere i nostri voti e quello dei nostri dieci milioni di elettori. Per senso di responsabilità non abbiamo battuto ciglio, neanche sulle poltrone visto che in quanto a ministri e sottosegretari il Pd la fa da padrone. Ma che in una situazione di questo genere pensino ancora di sostenere che noi siamo gli impresentabili è fuori dal mondo». Per quanto riguarda Violante e Renzi, poi, hanno entrambi un loro «personale interesse». Il primo – è il senso dei ragionamenti del leader del Pdl – perché quella presidenza la vorrebbe per lui e il secondo perché dopo che il Cavaliere ha dato il via libera a Letta un po' ha il dente avvelenato oltre che un certo interesse a far saltare il banco (si votasse a breve sarebbe lui il candidato del centrosinistra, fra qualche anno rischia di esserlo proprio Letta).

Il punto, insomma, è chiaro. Se oggi l'Italia ha un governo e non è tornata al voto nonostante il Pdl fosse in vantaggio in tutti i sondaggi è solo – dice il Cavaliere – «grazie alla nostra ragionevolezza e al mio senso di responsabilità visto che mezzo partito voleva le urne». Ed è questa la ragione per cui Berlusconi rimanda al mittente l'accusa di «impresentabilità» che gli arriva da parte del Pd. E non lo fa solo lui, visto che l'ipotesi che possa davvero presiedere la Commissione esiste, come pure sono al vaglio altre strade. Come quella, si vocifera in ambienti vicini al Quirinale, di una nomina del Cavaliere a senatore a vita dopo l'estate. Un modo per provare a chiudere una stagione.
La partita, insomma, è di quelle che contano. Ecco perché ieri sono scesi in campo quasi tutti i big del Pdl, dal capogruppo al Senato Schifani («i veti sono odiosi e inaccettabili») al suo omologo alla Camera Brunetta. Dal vicepresidente di Palazzo Madama Gasparri al sindaco di Roma Alemanno (che ricorda come la Bicamerale andò a D'Alema), passando per la Saltamartini e la Savino. «La presidenza della Convenzione – spiega Cicchitto – deve essere attribuita a una personalità di centrodestra anche perché tutte le cariche di rilievo politico-istituzionale sono state ricoperte da esponenti della sinistra».

Una questione che comunque non si risolverà a breve, visto che prima di entrare nel vivo ci vorranno almeno due settimane. Intanto – è il ragionamento del titolare delle Riforme Quagliariello – è inutile guardare il dito piuttosto che la luna. Non perché il neoministro non sia convinto che in questo clima di collaborazione siano inammissibili conventio ad excludendum verso il Cavaliere, quanto perché pensa sia bene concentrarsi sul merito delle riforme da portare a casa piuttosto che sullo strumento.

Insomma, una cosa alla volta.

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