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"Bersani prigioniero delle sue ambizioni". Il timore del blitz Pd

La trattativa con i democratici non è chiusa, ma Berlusconi non si fida del segretario: "Ha davanti a sé l'alternativa del diavolo"

"Bersani prigioniero delle sue ambizioni". Il timore del blitz Pd

Navigare nel mare delle formule diplomatiche e delle espressioni a doppia e tripla lettura non è certo lo sport preferito di Silvio Berlusconi. Così, di fronte alla folla azzurra radunatasi a piazza Libertà a Bari per il suo secondo grande comizio post-voto, il presidente del Pdl abbandona le raccomandazioni e gli inviti alla prudenza e detta il suo ultimatum ai dirimpettai della trattativa impossibile, ovvero al Pd di Pier Luigi Bersani, tornato in mattinata a imbracciare la spada e a dire no con toni forti alle grande intese e a ogni tentazione di intelligenza con il nemico.
Il messaggio rivolto ai contendenti (e potenziali alleati) è chiaro: non solo sono pronto ad andare al voto ma ci sarò io in campo, pronto a battere l'Italia in una campagna elettorale vecchio stampo, per quanto questa eventualità «sia perfino dolorosa per me». Raccontano di un Berlusconi stupito dalle parole di Bersani, un leader «non so se più prigioniero delle sue illusioni o delle sue ambizioni».
Nello stato maggiore del Pdl rispetto a ventiquattro ore prima cresce il pessimismo. L'impressione, però, è che chiuse le liturgie di piazza, la partita del dialogo non sia ancora totalmente sbarrata e ci siano ancora spazi per la ragionevolezza, anche se difficilmente ci sarà un nuovo incontro Berlusconi-Bersani, così come è fortemente probabile che i nomi (sempre che siano più di uno) vengano comunicati dal Pd soltanto mercoledì pomeriggio.
«Se davvero decidono di procedere a colpi di maggioranza facendo sponda con i grillini su Prodi corrono il rischio di perdere tra i 70 e gli 80 voti e di frantumarsi al loro interno. Non è certo di un esercito di franchi tiratori ciò di cui hanno bisogno in una fase così delicata», spiega Berlusconi in mattinata ai suoi interlocutori, leggendo le agenzie dell'intervento del numero uno del Nazareno. «Bersani ha davanti a sé l'alternativa del diavolo», conclude il presidente del Pdl.
Nello stato maggiore viene fatto notare anche un altro elemento, ovvero che non sono ancora arrivate indicazioni sull'ordine dei lavori e sul calendario d'aula a partire da giovedì 18, quando si apriranno le votazioni per il nuovo capo dello Stato. In sostanza il Pd non ha ancora deciso se procedere a votazioni serrate per seppellire così il dialogo in una sorta di blitz fulmineo oppure se imporre un ritmo lento che favorisca la trattativa. Di certo, dopo i toni ultimativi usati da Bersani, in pochi nel Pdl sono pronti a scommettere sul prevalere di quella linea del dialogo sposata dai franceschiniani, dagli uomini di Beppe Fioroni e anche, seppure in modo più sfumato, da Enrico Letta. «È in corso un regolamento di conti interno al Pd» riflette Mariastella Gelmini «e prevale una strategia che è innanzitutto anti-italiana. Qui però si gioca con le sorti del Paese.

Eleggere il capo dello Stato non può diventare l'occasione per mettere in piedi un congresso del Pd».

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