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Bersani si vendica e lancia l'operazione ammazza-Renzi

Oltre settanta democratici votano contro il premier imbeccati dall'ex leader I renziani: temono di essere spazzati via e vogliono abbattere l'esecutivo

Bersani si vendica e lancia l'operazione ammazza-Renzi

Solo dieci voti hanno salvato ieri sera l'Italicum, e con esso il governo Renzi e la legislatura.
Un margine più che esiguo, che dà la misura della faglia profonda che attraversa il Partito democratico e fotografa la sorda fronda di mezzo gruppo parlamentare contro il suo leader. Un'avversione che, dice un parlamentare renziano, «ha spinto molti dei nostri a votare nel segreto dell'urna con l'intento preciso di far saltare il governo. Hanno il terrore che se riesce a mettere a segno legge elettorale e riforme del lavoro e del fisco, loro vengono spazzati via».
Quanti siano stati i franchi tiratori democratici è difficile calcolarlo visto che gli scambi incrociati sono stati molti. Sulla carta, almeno una settantina ha votato contro le indicazioni, anche se solo Rosy Bindi e il lettiano Francesco Boccia lo hanno dichiarato pubblicamente. Lettiani, bersaniani, bindiani hanno guidato la fronda, cogliendo al volo l'alibi della bocciatura delle quote rosa per vestire di abiti politically correct il tentativo di indebolire il premier e aprire la caccia a Renzi per riprendersi la «Ditta» scippata dall'intruso fiorentino. Davide Zoggia, dopo il voto di lunedì sera, confidava che in molti si erano messi d'accordo per votare a favore delle quote rosa in modo «palese», ossia alzando le dita per far controllare il loro voto, e attribuire ai renziani la responsabilità del no alle quote.
«È evidente che per una parte del Pd la priorità è l'accordo con Berlusconi», tuona Stefano Fassina. L'emiliano Maino Marchi, ex Pci doc, spiega più chiaramente di tutti l'allergia ideologica contro il premier: «C'è un problema di cultura politica nel Pd, le parole di Renzi sulle quote rosa segnalano una matrice culturale lontana dalla nostra». Ieri è tornato a parlare anche Bersani, che - in tono gioviale - ha mandato più di un siluro al suo successore. Ironizzando sulla «movida» renziana, sull'eccesso di annunci e il rischio di «dire più di quel che si fa», e di «lasciare l'ultima parola a Berlusconi». E agitando lo spauracchio dell'uomo solo al comando: «È moralità politica mettere il proprio “io” al servizio del “noi” e rispettare il collettivo».
Una rivolta prevista, tanto che Renzi ha spedito in aula l'intero governo, e qualcuno fa notare che «senza il voto di ministri e sottosegretari le preferenze sarebbero passate». Gli uomini del premier per tutta la giornata hanno lavorato a blindare il gruppo, avvertendo i parlamentari che «in gioco non c'è solo il patto sull'Italicum, ma l'intera legislatura». Mentre lunedì sulle quote rosa si era evitato di dare indicazioni di partito, ieri l'indirizzo era chiaro: si deve votare no, e lo stesso capogruppo Roberto Speranza ha preso la parola per ricordarlo ai suoi.
La giornata era iniziata con un'agitata assemblea dei deputati, convocata da Matteo Renzi al Nazareno, con le pasionarie delle quote rosa sul piede di guerra contro il premier. Il quale ha fatto sì delle aperture, annunciando che una prossima Direzione allargata ai gruppi (reclamata anche da un gruppo di donne) verrà chiamata a stendere «l'elenco delle modifiche prioritarie» da apportare alla legge elettorale, per sottoporle a Forza Italia prima del voto del Senato. Ma è stato assai duro nel richiamare i suoi: «Chi vuol votare contro dovrà spiegarlo bene fuori di qui». La Bindi gli grida che il Pd «è un partito ferito da quei cento voti mancanti sulle quote», ma il premier richiama tutti: sull'Italicum, votato dalla Direzione Pd, «non c'è da mantenere un patto con Berlusconi, ma un impegno chiaro che abbiamo preso come partito».

E chi prova ad affossarlo si mette fuori.

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