Politica

Biagi, Scajola e quelle accuse odiose e tardive

L'omicidio Biagi e quelle accuse odiose e tardive

Biagi, Scajola e quelle accuse odiose e tardive

Guai ai vinti? Bisogna aggiornare il vecchio adagio: guai ai carcerati. Sui quali si accaniscono il destino, gli ex amici e gli ex colleghi. L'esempio più vistoso lo fornisce suo malgrado Claudio Scajola, scaraventato in galera con l'accusa di aver agevolato la latitanza di Amedeo Matacena, ex parlamentare del Pdl (condannato in via definitiva a 5 anni di detenzione per concorso esterno in associazione mafiosa) e di aver dato una mano (solo quella?) alla moglie di questi, Chiara Rizzo.

Su Scajola, che non ha il dono della simpatia, pende una sorta di maledizione. Mentre egli era ministro dell'Interno, il 19 marzo 2002 le Nuove Brigate rosse assassinarono Marco Biagi, noto per aver riformato la legislazione riguardante il lavoro. Costui aveva la scorta alle costole ovunque andasse, a Roma o a Milano, tranne che a Bologna, la sua città di residenza. I brigatisti, criminali ma non scemi, lo aspettarono sotto casa e, profittando del fatto che non era tutelato da alcun agente, lo stecchirono a pistolettate. Fu subito scandalo: come mai la vittima era protetta quando andava in giro per l'Italia, tranne che a Bologna, nonostante Biagi stesso avesse sollecitato di non essere lasciato mai solo, considerate le minacce ripetutamente ricevute?

Il mistero non fu mai svelato. Al responsabile del Viminale dell'epoca furono mossi rimproveri, critiche. E lui per tutta risposta confidò a un giornalista che il giuslavorista (sembra una parolaccia, ma non lo è) era un «rompicoglioni», un tipo che piagnucolava spesso e volentieri. I cronisti, anche quando fanno il loro mestiere, sono giudicati bastardi dentro, e dentro non tengono null'altro. L'indomani il collega di cui parliamo pubblicò in un articolo la frase infelice del ministro: «Biagi era un rompicoglioni». Scajola rimediò così una figura talmente di merda da essere costretto addirittura a dimettersi. Il fatto di avere avuto il coraggio di non smentire, invece di avvantaggiarlo, lo penalizzò.

Se un politico non è né ipocrita né bugiardo ci smena. Con le dimissioni dello sfacciato, il caso si chiuse. Ma, trascorsi 12 anni dall'incidente e con il reprobo blindato in cella, si è improvvisamente riaperto. Roba da chiodi. Sul punto però torneremo più avanti.

Frattanto seguitiamo a ripercorrere la burrascosa biografia dell'insigne politico caduto in disgrazia dopo essere caduto frequentemente nel ridicolo. Archiviata la topica relativa alla prematura dipartita del professor Biagi, Scajola rialza il capino nel 2008, allorché il Pdl vince le elezioni politiche anticipate. Il redivivo viene nominato ministro dello Sviluppo economico.

Non dura a lungo. In effetti, nel 2010 è colpito da un altro attacco di sfiga o di stoltezza. Si scopre che ha acquistato un appartamento nel centro di Roma, in un palazzo davanti al Colosseo, pagandolo una miseria. Semplifico. Una parte del denaro in realtà era stata versata da un amico, affettuoso a tal punto da non aver confessato allo stesso Scajola il saldo del conto in sua vece. Una gentilezza. Un dono non richiesto. Cosicché il ministro dello Sviluppo economico può dire, suscitando l'ilarità generale, d'aver avuto in regalo un tocco di alloggio a propria insaputa. La qual cosa assume il valore di una barzelletta.

Si svolge un'inchiesta giudiziaria, si celebra un processo e, fra lo stupore dell'intera nazione, il tribunale assolve l'imputato. Che quindi passa per ingiustamente perseguitato. Infatti, a causa dello strano episodio immobiliare, Sciaboletta (volgarissimo soprannome) era stato indotto a dimettersi dal governo.

La sua soddisfazione per essere stato proclamato innocente dalle toghe giudicanti, tuttavia, scema in fretta. Un'altra tegola piomba in testa al povero Scajola. Alcune settimane fa riceve una sgradita visita delle forze dell'ordine nella propria abitazione: semplicemente arrestato. Motivo? Quello cui ho già accennato: avrebbe ciurlato nel manico per aiutare Matacena e signora ad affrontare i disagi provocati dalla condanna per concorso in associazione mafiosa. È un reato? Per giunta grave? Può darsi.

Non m'intendo di pandette né di procedura penale. Penso soltanto che della carcerazione preventiva si abusi, ovvero che non serva per evitare che il sospettato fugga, reiteri il reato o inquini le prove, bensì per invogliarlo a vuotare il sacco. Checché ne dica il mio amico Massimo Fini, il più grande mezzo giornalista esistente in Italia, quelli che tagliano la corda lo fanno nell'imminenza di una (subodorata) condanna definitiva e non certo all'inizio di un procedimento. Vabbè, ma Fini va preso sul serio soltanto quando scherza.

Torniamo al povero Scajola, che vede la luce a quadretti attraverso le grate di una prigione. Lo hanno abbandonato tutti. E tutti lo deridono. Non bastasse, dato che stando dentro non è in grado di difendersi né di rilasciare interviste, un sacco di gente ha ripescato la faccenda luttuosa di Marco Biagi per dargli addosso. Coloro che nel 2002, anno (ripeto) in cui fu ammazzato Biagi, condividevano con il ministro dell'Interno le sorti del governo presieduto da Silvio Berlusconi, dopo aver taciuto per lustri si sono messi a cantare come a Sanremo. Scajola - denunciano - sapeva che Biagi era braccato dalle Br; sapeva che gli avrebbero teso un agguato, ciononostante rifiutò di concedergli la scorta a Bologna. Ancora: Roberto Maroni sostiene che scrisse una lettera al titolare del Viminale per avvertirlo del pericolo; pure Maurizio Sacconi afferma di essere stato al corrente che Biagi rischiava. Adesso. Soltanto adesso, a 12 anni dall'omicidio del giuslavorista, si scoprono tutti questi altarini? Ma perché non avete parlato a suo tempo, a cadavere caldo?

Nossignori. Si svegliano ora e puntano il dito contro il recluso Scajola mentre questi non è più in poltrona ma seduto sul bugliolo. Spettacolo ripugnante.

Prendere a calci un uomo steso a terra, inerme, ferito, disperato, è un esercizio di viltà che non merita perdono.

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