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I nemici ora sono amici: i big sul carro di Renzi

Dalla Bindi a Letta ai veltroniani, ora sono tutti col sindaco di Firenze

I nemici ora sono amici: i big sul carro di Renzi

Nell'attesa che l'entourage bersaniano apra nuove consultazioni e chieda un parere al Wwf e al Touring Club per verificare se la somma di «non vittoria» più «non incarico» più «non nomina» più «non governo» corrisponda o no alla rottamazione del «non risolutivo» leader del centrosinistra (risposta: sì), nel Pd post-bersaniano è cominciata l'incredibile corsa dei vecchi e nuovi dirigenti democratici verso il carro guidato dall'erede designato dello smacchiatore piacentino: Matteo Renzi. E così, più o meno dal momento in cui gli esponenti del Pd con più pelo sullo stomaco e meno prosciutto sugli occhi si sono resi conto che la strategia scelta da Bersani per conquistare Palazzo Chigi (trasformare in rivoluzionaria e costruttiva offerta politica il vaffanculo grande così offerto con tanto di gesto dell'ombrello dal Movimento 5 Stelle) assomigliava molto al gesto della famosa bottiglia sbattuta con violenza in mezzo alle gambe, è successo che nel Partito democratico è cominciato, contestualmente con il fuggi fuggi da Bersani, l'improvviso fenomeno della riabilitazione del sindaco. Che se fino a ieri era «il cavallo di Troia del centrodestra», «il figlio del berlusconismo», «il fascistoide della Fiesole», «il furbetto di Arcore», adesso, da quando le elezioni hanno smacchiato lo smacchiatore, è tutto un «ma che bravo Matteo», «ma che genio Matteo», «ma che futuro Matteo». Il film della redenzione del Rottamatore comincia dopo la non vittoria di Bersani, quando anche i più grandi nemici del sindaco, una volta realizzato che il Pd aveva realizzato il peggior risultato elettorale ottenuto da un partito progressista dal 1963 a oggi, hanno cominciato a riposizionarsi. La prima di tutti è stata Rosy Bindi (lei, proprio lei!) che dopo aver passato mesi e mesi a definire Renzi una specie di diavolo travestito da sindaco subito dopo le elezioni ha cominciato a dire, che «Matteo» è una fantastica «risorsa» del partito. E poi via tutti gli altri: dai veltroniani ai franceschiniani; dai fioroniani ai dalemiani; dai lettiani ai giovani turchi; e così via.

Enrico Letta (vice di Bersani): «Per il prossimo voto, che sia fra sei mesi, un anno, due anni, bisognerà affidarsi a Matteo Renzi». Dario Franceschini: «Renzi è giovane ma è cresciuto come deve essere nella politica e nell'esperienza di governo locale». Giuseppe Fioroni (gran sostenitore di Bersani): «Matteo? Lo appoggerei». Catiuscia Marini (governatrice dell'Umbria, bersaniana): «Bersani? Deve prendere atto delle elezioni. Renzi? Con lui si possano trovare punti di contatto». E Virginio Merola, sindaco iperbersaniano di Bologna, che durante le primarie sosteneva che «i renziani sono stalinisti moderni e giovani yuppies arrampicatori» e che oggi invece dice che «Matteo è stato uno dei grandi protagonisti delle primarie e ora gli dobbiamo molto». La gustosissima trasformazione dei grandi Rottamandi del Pd in improbabili alfieri della Rottamazione nasce in nome di un'incontenibile vocazione al camaleontismo dei massimi dirigenti del Partito democratico; ma nasce anche per una ragione più squisitamente politica risultata evidente durante le settimane in cui il non incaricato non risolutivo protagonista della non vittoria e della formazione del non governo ha visto giorno dopo giorno rottamata la sua linea sia dal presidente della Repubblica sia dai più importanti esponenti del suo partito. In altre parole, mentre lo smacchiatore di giaguari strabiliava il mondo con il suo «o governo io, in alleanza con Grillo, oppure si va alle elezioni» nel suo partito tutti si stavano a spostando sulla linea Renzi: «Se Bersani non ce la fa, si fa un governo anche con il Pdl».

Il cambio di linea è stato formalizzato venerdì da Letta alla fine del colloquio al Quirinale, e poche ore prime che Renzi registrasse la puntata da Amici. Bersani era a Piacenza. Nel Pd, in quel momento, è nata una nuova stagione.

E con Bersani rottamato, tutti si sono ritrovati a improvvisamente rottamatori: con la scusa di voler salvare il partito, ma con l'idea di voler salvare prima di tutto la propria poltrona.

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