Politica

Il «biondino di piazzale Lotto» scagionato da Pisapia senior

Riceviamo e pubblichiamo.

Si è rivolta al mio studio la signora Pia Esposti, sorella di Giancarlo Esposti, deceduto nel 1974. Sul “Giornale” del 15 luglio 2012 a pagina 11 è pubblicato l’articolo “Il biondino di piazzale Lotto scagionato da Pisapia senior” a firma di Giovanni Terzi, che parla di una rapina avvenuta a Milano nel 1967 durante la quale venne ucciso un benzinaio. Alla fine dell’articolo è scritta la seguente frase: “Due anni dopo i veri colpevoli furono assicurati alla giustizia, erano due neofascisti Gianni Nardi e Giancarlo Esposti i quali confessarono di essere stati loro a uccidere il cinquantenne benzinaio a scopo di finanziare il gruppo dei Nar”. Tali affermazioni non corrispondono a verità. Il signor Giancarlo Esposti non confessò l’uccisione del benzinaio e neppure venne condannato per tale crimine; fu aperto un procedimento nei suoi confronti, che venne trasmesso al Tribunale per i Minorenni essendo egli all’epoca del fatto non ancora maggiorenne. Il processo venne archiviato in quanto il signor Esposti era nel frattempo deceduto; per l’omicidio venne condannata un’altra persona, ma non il signor Gianni Nardi.

Avvocato Gilberto Pagani

di Giovanni Terzi

Quando l'avvocato Pisapia telegrafò al Tribunale «Fermate il processo», Pasquale Virgilio, nel 1967, aveva 27 anni ed era un pregiudicato con alle spalle qualche piccolo furto e stava terminando a Trieste il servizio militare. Quella mattina di marzo del 1967 Pasquale Virgilio, in divisa ed appena uscito dalla caserma di via Mascheroni, stava attraversando piazzale Lotto a Milano per dirigersi verso la propria casa da lì poco distante. Piazzale Lotto era stata, nella notte tra il 9 ed il 10 febbraio del 1967, teatro di una rapina che aveva visto come vittima un benzinaio di 48 anni tale Innocenzo Prezzavento.
L'omicidio, con scopo di rapina, aveva visto un bottino di novemila lire e un testimone oculare, un commerciante di fiori, che si era fermato all'una e quarantacinque in piazzale Lotto per fare benzina.
Italo Rovelli era il nome del testimone oculare che, interrogato all'indomani dell'omicidio dichiarò «...mi accorsi che dentro dal benzinaio c'era un individuo alto di statura e che mi volgeva le spalle. Era alto circa un metro e ottanta capelli biondi e con la riga da un lato». Tutti i giornali locali e nazionali avevano dato grande risalto a quell'avvenimento sia per la crudeltà del fatto, il benzinaio venne freddato con due colpi al cuore e con una pistola calibro 6,35, sia per l'esiguo bottino, appena novemila lire. Così Pasquale Virgilio attraversò la piazza proprio nel luogo dove quaranta giorni prima era accaduta quella tragedia e con stupore iniziò ad intravedere, proprio davanti il portone di casa sua delle gazzelle dei carabinieri ferme ma con le sirene accese. Insieme alle «gazzelle» dei carabinieri Pasquale Virgilio, da tutti soprannominato Max, vide una decina di uomini armati ed in divisa. Ma Max non si scompone e, attraversato l'androne di casa, si dirige al quarto piano dove risiede. Inserisce le proprie chiavi nella serratura quando, in modo fulmineo, si sente spingere all'interno della sua abitazione. Sono alcuni dei carabinieri che erano fermi con le loro «gazzelle» fuori dal portone. Rovistano, cercano ma non trovano nulla e, con rapidità prelevano «Max» e lo trasportano al commissariato di via Manara. Ed è proprio all'interno del commissariato di via Manara a Milano che a Pasquale Virgilio vengono contestate 15 rapine.
Certo Pasquale non è uno stinco di santo, qualche rapina l'aveva commessa, ma quando gli viene contestato l'omicidio di Innocenzo Prezzavento ha un sobbalzo sulla sedia. Ore ed ore di estenuanti interrogatori fino a quando, così raccontò Pasquale Virgilio a Guido Vergani che su questo caso scrisse un libro (L'assassino di Piazzale Lotto), «i carabinieri mi fecero capire benevolmente che era opportuno che io mi dichiarassi colpevole». Così, dopo tre o quattro svenimenti, Pasquale Virgilio esausto firmò la sua condanna.
Che l'accusa facesse acqua da tutte le parti appariva a tutti con grande chiarezza. In primo luogo perché la figura di Pasquale Virgilio rispetto a quella raccontata dal testimone oculare era assai diversa. Pasquale Virgilio era di statura piccola, non raggiungeva neanche il metro e settanta, non era biondo e infine i capelli erano cortissimi per via del servizio di leva. L'unico problema di Pasquale era non solo aver firmato la deposizione ma non essere riuscito a fornire un alibi credibile. Così Pasquale Virgilio finì dritto filato in carcere, a San Vittore a Milano.
Difeso dall'avvocato Armando Cillario, Pasquale Virgilio ritrattò la versione data ai carabinieri ma così il fermo fu trasformato in arresto. Passarono ventisei mesi prima dell'inizio del processo in Corte di Assise a Milano. Ventisei mesi in attesa di giudizio; un giudizio che si preannunciava non certo benevolo. Infatti il testimone Italo Rovelli, mentre in un primo tempo si era dichiarato dubbioso in un confronto all'americana «potrebbe essere anche lui, ma non ci giurerei» una volta chiamato - più di due anni dopo - a testimoniare davanti al giudice, al di là di ogni ragionevole dubbio, disse: «Sì l'assassino di piazzale Lotto è Pasquale Virgilio». Durante il dibattimento che si avviava verso una condanna certa avvenne un fatto eclatante; Giandomenico Pisapia, il più famoso avvocato penalista italiano, mandò un telegramma al presidente della Corte d'assise di Milano Mario Del Rio con questo contenuto: «Fermate il processo, state condannando un innocente».
Il penalista testimoniò in aula sotto giuramento raccontando di aver ricevuto la confessione dal vero assassino (di cui non poteva rivelarne il nome) «ma mi ha rivelato fatti e circostanze tali da escludere che l'attuale imputato sia colpevole». Il risultato fu storico. Neanche il pubblico ministero se la sentì di chiedere la condanna. Pasquale Virgilio, dopo 800 giorni di carcere, fu liberato e non chiese nemmeno il risarcimento per l'ingiusta detenzione. Due anni dopo i veri colpevoli furono assicurati alla giustizia erano due neo fascisti Gianni Nardi e Giancarlo Esposti i quali confessarono di essere stati loro a uccidere il cinquantenne benzinaio a scopo di finanziare il gruppo dei Nar. Certo erano altri tempi e rimane famosa la frase dell'avvocato Pisapia davanti al giudice Di Pietro «...ho difeso molti colpevoli, ma mai ho chiesto l'assoluzione sapendo che il mio cliente era colpevole.

Nostro compito è fare trionfare la giustizia».
twitter @terzigio

Commenti