Politica

La carità pelosa di don Mazzi falso redentore del Cavaliere

Lo invita nella sua comunità a "pulire i cessi" ma un prete non può umiliare un condannato

Don Mazzi e la conduttrice Lorella Cuccarini
Don Mazzi e la conduttrice Lorella Cuccarini

Nel caos totale di questi giorni, una cosa s'è capita molto chiaramente: don Mazzi non vede l'ora di mandare Berlusconi a pulire i cessi. È il suo sogno e la sua ossessione. Certo in senso buono, certo nell'interesse primario del condannato, però prima si fa e prima il Torquemada de noantri si mette il cuore in pace.
Non fa che ripeterlo, in televisione e sulla carta stampata: basta buttarci il gettone e parte come un juke-box. L'altra sera, da Santoro: Berlusconi venga da noi, ricominci a pulire i cessi, si ricostruisca da zero. A seguire, su Repubblica, l'omelia domenicale: serve un progetto personalizzato, lo voglio da me non per un atto di cattiveria, ma per lavorare alla sua redenzione. Nello specifico, il programma personalizzato: vorrei essere io a buttarlo giù dal letto e a fargli risistemare le lenzuola, deve dedicarsi al silenzio e agli umili lavori manuali, cominciando dalla pulizia dei gabinetti, quindi deve affondare le mani nella terra, piantare i pomodori, lontano dagli agi.
L'ultima volta che ho sentito un tizio parlare con questo divertito sadismo, travestito da profonda compassione umana, mi trovavo in una caserma del Car. Anche quel generale pieno di decorazioni, con gli occhi brillanti, pregustandosi il programma personalizzato, raccontava a noi reclute che avrebbe fatto tutto per il nostro bene e che finalmente ci avrebbe fatti uomini.
Certo don Mazzi non può essere definito un sacerdote schivo e ascetico. In tutti questi anni abbiamo imparato che preferisce la parola alla meditazione, stare al centro che mettersi sullo sfondo. È il prete delle Mare Venier e delle Domeniche In, sempre per via di quella teoria che vorrebbe i religiosi al passo con la storia, immersi nella loro realtà e nel loro tempo, fossero pure realtà e tempi frufrù. In nome di questa teoria, punto estremo della chiesa storicizzata (oltre resta solo la partecipazione all'Isola dei Famosi), don Mazzi è diventato una star televisiva e un re del palcoscenico. Sempre per missione, sempre per senso di servizio. Per annunciare la Parola, vale qualunque cosa: c'è tutta una poesia, sui giullari di Dio.
Eppure ci dovrà pur essere un limite. Questa idea di don Mazzi subito pronto a catapultarsi sui resti di Berlusconi, sventolando il sacro dovere della redenzione, si porta dietro un retrogusto sgradevole. C'è una Chiesa che ci ha sempre insegnato una regola più alta e più convincente persino del freddo dogma, una regola della carità e della misericordia che vale sempre, in tutti i tempi e in tutte le situazioni: il bene si fa in silenzio. Non c'è bisogno di essere berlusconiani, ma minimamente umani, per chiedere a don Mazzi di finirla lì con lo smodato show personale, perché questo suo incontenibile narcisismo da redentore universale sta diventando vagamente crudele.
Il condannato Silvio può essere il più spregevole degli uomini, ma non dovrebbe mai essere il buon prete a ballare sulla sua carcassa. Le carceri e le comunità sono piene di sacerdoti valorosi, che tutti i giorni condividono con gli ultimi il dramma della colpa e del castigo. C'è un modo, c'è una misura, c'è uno stile in questa delicatissima missione. Don Mazzi ha già 84 anni, ma prima o poi potrebbe arrivarci. In queste ore con l'acquolina alla bocca, pregustandosi il «progetto personalizzato» sul dannato Silvio, manca il rispetto nei confronti di un uomo vinto. Per un prete è già abbastanza brutto. Ma purtroppo non c'è neppure la pietà.

E questo è molto più triste.

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