Politica

Caro Bersani, sbrana questi: i compagni padroni del Monte

Il segretario del Pd se la prende con gli avversari e finge di non sapere che è stato il suo partito a controllare la banca senese fino a provocarne il tracollo finanziario

Rosy Bindi al teatro Vittoria di Torino
Rosy Bindi al teatro Vittoria di Torino

Fino a qualche giorno fa, Pier Luigi Bersani, sereno come un vincitore annunciato, smacchiava i giaguari. Ora il segretario del Pd affila le unghie: «Sbraneremo chi ci attacca». Un'affermazione quantomeno azzardata perché i guai questa volta nascono in casa. Dentro un partito che troppe volte ha messo mano al Monte dei Paschi, col risultato di creare uno sconquasso dentro la banca. Inutile aggredire chi lo contesta. Basta prendere le dichiarazioni di Massimo D'Alema per capire che il Pd da queste parti ha fatto e fa sul serio. Con la Stampa l'ex premier è stato netto: «Noi, e per noi intendo il Pd di Siena nella persona dell'ex sindaco Franco Ceccuzzi, Giuseppe Mussari lo abbiamo cambiato un anno fa». Dunque, ancora di questi tempi il Pd muove come pedine i dirigenti dell'istituto. E per D'Alema è normale un intervento del Pd ai piani alti di Rocca Salimbeni. Se poi qualcosa si guasta, è troppo tardi per prendersela con qualche figurante.
Per carità, la storia della terza banca d'Italia è ovviamente complessa e ridurla a poche righe è necessariamente una semplificazione rozza, però è altrettanto lunare sostenere che il partito non abbia voce, e che voce, in capitolo. Prendiamo la Fondazione, palazzo Sansedoni, che poi è la cabina di regia del Monte. Al suo vertice c'è Gabriello Mancini, ex democristiano, ex popolare, ex Margherita, poi Pd. Mancini è il presidente di quella fondazione che ha sottoscritto un aumento di capitale e si è indebitata pur di non perdere il controllo ferreo della banca. Mancini è dunque vicino al partito come 13 dei 16 consiglieri del comitato d'indirizzo della Fondazione. Tredici su sedici, maggioranza schiacciante anche se non bulgara. Il Comune ne nomina otto, la provincia cinque, la Regione uno. Domanda: chi amministra questi tre enti? Il Comune, lo sappiamo, era retto fino alla sua caduta da Franco Ceccuzzi, funzionario del partito, segretario provinciale dal '98, poi parlamentare, poi sindaco; la Provincia invece è guidata da Simone Bezzini, pure funzionario del Pd, pure vicino alla componente diessna, solo che a differenza di Ceccuzzi è ancora in sella. E la Regione? Il Governatore è Enrico Rossi, Pd. Ceccuzzi-Bezzini-Rossi: perché Bersani non sbrana loro tre? I tre che monopolizzano Palazzo Sansedoni. Anche Pinocchio farebbe fatica a sostenere che a Siena la politica ha fatto la politica e le banche le banche.
E infatti pure Ceccuzzi è inciampato, a giugno scorso, nell'onnipresente Monte. E la città del Palio dovrà tornare al voto. Otto componenti della maggioranza rossa, che più rossa non si può, hanno deciso di non approvare il bilancio. «Non potevamo andare contro la legge - spiega al Giornale Pier Luigi Piccini, ex presidente del consiglio comunale, origini nella Margherita e ora approdato alle liste montiane - La Corte dei conti aveva acceso un faro e continuava a tirarci le orecchie». Ribatte Ceccuzzi. «Macché bilancio. Quello è stato un pretesto, la verità è che mi hanno buttato giù per una ripicca sulle nomine al Monte».
Il Monte, sempre il Monte, e il partito che sembra fondersi con la banca. «Un pezzo del partito - riprende Ceccuzzi - era convinto che Alfredo Monaci potesse diventare vicepresidente della banca. Quando questo non è avvenuto, è scattata la rappresaglia». Pretesto: i 6 milioni che la Fondazione -come si vede non si esce dal quel perimetro claustrofobico - doveva versare al Comune. Alla fine i sei della Margherita, legati ad Alberto Monaci, presidente del consiglio regionale, Pd, e al fratello Alberto, Pd allora e oggi con Monti, più una socialista, più l'ex diessino Giancarlo Meacci, hanno fatto franare il sindaco.
La lista delle persone, pardon delle personalità da graffiare con qualche domandina, è chilometrica: sotto la Torre del Mangia le strategie del Monte scivolano nell'imbuto della politica. Da qualunque parte si cominci, il risultato è sempre lo stesso. Se dalla Fondazione di Gabriello Mancini si passa alla banca vera e propria, il risultato è sempre lo stesso. Eccoci a Giuseppe Mussari, militante di lunga data del Pci-Pds-Ds-Pd. Mussari che, come scrive Franco Bechis su Libero: «Era il leader degli studenti universitari comunisti e in quella veste fu il ragazzo degli accordi con il rettore dell'epoca Luigi Berlinguer». E qui conviene fare un' altra sosta perché Berlinguer, pezzo da novanta del partito, fu uno degli sponsor che favorirono l'irresistibile ascesa del giovane Mussari. Gli altri? Franco Bassanini, eletto in città, Giuliano Amato e Massimo D'Alema Il quadrilatero si ruppe successivamente, al tempo della scalata di Unipol, guidata dal cavaliere della finanza rossa Giovanni Consorte, a Bnl. «Consorte e D'Alema - ha rivelato Bassanini a Panorama - fecero pressing su Siena perché si alleasse con Unipol. Chi difese l'autonomia di Mps, come me e Amato, venne emarginato». Anche Consorte è finito nei guai, ma il Pd, con il suo sogno di targare una banca, non ha perso il vizio.

E se perfino il tesoriere rosso Ugo Sposetti si lamenta con Repubblica perché «massoni e Opus Dei in città hanno più potere di noi», questo significa solo una cosa: la ditta Bersani non vuole proprio far un passo indietro.

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