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Caselli chiede aiuto ai giudici per riavere la pensione d'oro

L'ex procuratore di Torino ricorre al Tar contro il taglio agli stipendi degli alti magistrati. Quando era al Dap prendeva 540mila euro l'anno

Caselli chiede aiuto ai giudici per riavere la pensione d'oro

Come fa un alto magistrato a vivere decentemente con 302.937 euro lordi l'anno? E come fa a mantenere la sua «indipendenza» con «solo» 25.244 al mese, 5.609 a settimana, 829,96 al giorno?

È questo in sostanza il ragionamento che fa Gian Carlo Caselli nel suo ricorso al Tar del Piemonte, in cui chiama in causa la Corte costituzionale contro i provvedimenti che gli hanno ridotto lo stipendio e adesso la pensione in omaggio alla spending review.

Non gli è andato proprio giù quel tetto alla retribuzione dei top manager pubblici imposto anche agli alti magistrati, perché agganciato a quella del Primo presidente della Cassazione: appunto quei 300 mila e rotti euro lordi che quest'anno sono rivalutati a 311mila.

Così, Caselli, che è andato in pensione a dicembre, ha deciso di fare da apripista e denunciarne l'incostituzionalità: i tagli sarebbero viziati perché illegittimamente limitati alla categoria dei dipendenti pubblici e in particolare delle toghe, violerebbero una serie di principi protetti dalla Carta e soprattutto quello dell'«indipendenza dei magistrati anche attraverso la sostanziale intangibilità del loro trattamento retributivo e previdenziale».

Lui, che con appena 6 colleghi in toga in Italia è tra i magistrati più pagati da anni e anni, soprattutto per essere stato per un biennio dal 1999 capo del Dipartimento penitenziario del ministero della Giustizia, incarico fino al 2013 da 540mila euro l'anno.

A certi privilegi è difficile rinunciare e Caselli rivuole indietro la sua pensione d'oro. Né ha intenzione di restituire fior di arretrati, perché gli chiedono indietro 15.438 euro per le somme non dovute tra aprile 2012 e maggio 2013. Dovrebbe ridarli allo Stato con una ritenuta mensile di 2.205, dal primo luglio 2013 al 31 gennaio di quest'anno.

Per tutti questi motivi, l'ex procuratore di Torino ha cercato la tutela del tribunale amministrativo della regione in cui ha esercitato per anni il suo importante ruolo, mentre gli altri (pochi) magistrati nelle sue stesse dorate condizioni si sono fatti qualche scrupolo ad avanzare rivendicazioni mentre ai normali cittadini, magari con mille euro di stipendio al mese, venivano richiesti veri e pesanti sacrifici.

Inutile dire che se fosse accolto il ricorso presentato con molta discrezione il 23 luglio scorso dai suoi avvocati Vittorio Barosio e Giorgio Sobrino al Tar piemontese, non solo il drappello di magistrati interessati ma anche i top manager pubblici che si sono visti ridurre lo stipendio potrebbero sperare in una pronuncia favorevole della Corte costituzionale.

Anche perché nella fortunata trentina di personaggi pubblici dai super stipendi ci sono proprio i giudici della Consulta, insieme ai vertici di magistratura contabile e amministrativa e a top manager di Camera e Senato. Finora intoccabili, che spesso guadagnano più dei 302mila euro lordi della più alta toga d'Italia, superando ampiamente il tetto dei 238mila dell'indennità del capo dello Stato, che il premier Matteo Renzi vuole imporre a tutti.

I tempi stanno cambiando, ma le toghe resistono e Caselli si fa bandiera di questa opposizione ai tagli. La preoccupazione certo è alle stelle dopo la durissima replica del capo del governo agli attacchi dell'Anm: «Non credo che portare lo stipendio di un alto magistrato da 311 a 240mila sia un attentato a libertà, autonomia e indipendenza della magistratura».

Caselli è convinto del contrario e chiede ai giudici amministrativi di sollevare le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 23-ter del decreto legge 201 del 2011, convertito nella legge 214 nello stesso anno, annullando i provvedimenti amministrativi che ha impugnato perché lo riguardano.

L'alto magistrato rivendica dunque il diritto alla retribuzione «piena», senza decurtazioni, sulla quale a suo dire dev'essere calcolata l'indennità di buonuscita che non dev'essere ridotta e la pensione di cui gode oggi. Lo chiede per sé e per tutti i magistrati come lui, ma anche per i super manager che hanno questi siderali livelli di stipendio.

E con la sua iniziativa potrebbe aprire una voragine, imponendo il ritorno ai vecchi privilegiati tempi.

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