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Caso Cancellieri, mezzo Pd vuole far fuori la ministra

Giustizialisti alla carica per l'intervento a favore della figlia di Ligresti Pdl: no dimissioni, indaghi chi per la stessa cosa ha perseguitato il Cav

Caso Cancellieri, mezzo Pd vuole far fuori la ministra

Roma - Comunque la si metta, per il governo Letta il caso Cancellieri è una grana. Ancor più è una grana dentro al Pd, incerto e diviso sulla linea da prendere.
Sull'intervento «umanitario» per far passare Giulia Ligresti dal carcere ai domiciliari, il partito di Epifani un po' attacca e un po' frena. È preoccupato di essere scavalcato dal Movimento 5 Stelle che annuncia una mozione individuale di sfiducia al ministro della Giustizia e da Sel che chiede le dimissioni, ma alleato con un Pdl che difende la Guardasigilli. C'è chi è tentato da un rimpasto subito e chi teme le urne. Così, il responsabile Giustizia Danilo Leva sceglie la cautela: «La Cancellieri riferisca in aula e poi, a seguito di quanto dirà, ciascuna forza politica farà le sue valutazioni e il Pd farà le sue». Insomma, no a «strumentalizzazioni» però «chiarezza in tempi rapidi» su quelle intercettazioni che fanno pensare a un favoritismo per la figlia dell'immobiliarista siciliano travolto dall'inchiesta Fonsai.
Mentre la Lega incalza parlando di «episodio ambiguo», il Pdl respinge gli attacchi al ministro di «giustizialisti a corrente alternata», come dice Fabrizio Cicchitto. E Daniela Santanchè fa un parallelismo con il caso Ruby, chiedendo alla Guardasigilli di «non dimettersi, ma di essere coerente con se stessa e mandare degli ispettori alla Procura di Milano per ripristinare la giustizia sul caso della telefonata di Berlusconi in questura», per poi adottare provvedimenti nei confronti di pm e giudici che hanno indagato e condannato Silvio Berlusconi.
Lo scandalo monta attorno alla Cancellieri, con nuove intercettazioni sui rapporti d'amicizia con i Ligresti e quelli d'affari del figlio Piergiorgio Peluso, già top manager di Fonsai liquidato in seguito a contrasti dopo un anno con 3,6 milioni di euro e poi diventato testimone della Procura di Torino. Contro di lui spara al telefono quella Giulia Ligresti che mesi dopo sarà aiutata dalla madre. «È il figlio del ministro Cancellieri... Siccome è talmente protetto, figurati cosa gli daranno in Telecom».
Lei, la Guardasigilli, tace dopo la nota di precisazione del giorno prima e il colloquio sul Colle. Oggi sarà a Chianciano al congresso radicale, lunedì a Strasburgo. Però interviene ancora il procuratore di Torino Gian Carlo Caselli: gli arresti domiciliari alla Ligresti sono stati concessi solo «sulla base di due fatti concreti, obiettivi, provati: le condizioni di salute assolutamente incompatibili con il carcere e la richiesta di patteggiamento», fatta ben prima delle telefonate della Cancellieri.
Intanto, il Pd cerca di conciliare l'esigenza di stabilità del governo con il rigore moralistico sfoggiato in tanti altri casi. Il bersaniano Edoardo Patriarca critica l'«interessamento speciale» della Cancellieri per la figlia di don Salvatore mentre i renziani si beccano tra loro. Dario Nardella giudica «fuori luogo» la richiesta di dimissioni, fatta pure dal compagno Ernesto Carbone e Antonio Funiciello scrive su Twitter: «Il ministro Idem impiegò 10 giorni per dimettersi, Alfano 10 giorni per non dimettersi. Vediamo quale record batterà la Cancellieri». Spiega l'incertezza nel Pd anche la beffa a Luigi Zanda, fatta da La Zanzara su Radio24. A una finta Cancellieri il capogruppo al Senato offre appoggio e consigli, ma non si sbilancia sulla linea che terrà il partito: «Sicuro che sei intervenuta solo per questione umanitaria. Non al di fuori dei tuoi poteri, certo che i giudici hanno fatto loro dovere». Poi suggerisce: «In Parlamento devi spiegare la questione del trattamento preferenziale... per i rapporti con la famiglia Ligresti. Al di là delle tue intenzioni, su cui non ho il minimo dubbio. Però quello dei rapporti è un dato oggettivo, non devi ometterlo». La sosia del ministro chiede che farà il Pd e Zanda dice di non avere «il polso della situazione», ma di non considerare necessarie le dimissioni.

«In questo momento».

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