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Caso Dell'Utri, Berlusconi va all'attacco

L'amarezza per il teorema dei pm. E i suoi legali danna battaglia: la Procura di Palermo non può indagare

Caso Dell'Utri, Berlusconi va all'attacco

La tesi è davvero ardita. Più di un ponte tibetano in bilico sull'abisso. Per i pm di Palermo, che hanno aperto un nuovo fronte, Marcello Dell'Utri sarebbe il postino delle cosche. E i soldi di Berlusconi, i piccioli che il senatore gli avrebbe estorto, sarebbero finiti nei forzieri di Cosa nostra. Sarebbe questo funambolico passaggio a garantire ai pm di Palermo, che da una ventina d'anni indagano in tutte le varianti sulla coppia Berlusconi-Dell'Utri, la competenza sull'ultimissimo fascicolo relativo alla villa sul lago di Como.

«Mi chiedo come facciano ad avere la competenza», dice Piero Longo, storico difensore del Cavaliere. In effetti, la storia imprenditoriale del Cavaliere è stata vivisezionata dai pm di Palermo, alla ricerca spasmodica del presunto peccato originale: i capitali dei boss nel nascente impero del Biscione. Non si è trovato nulla e allora è stato scandagliato anche il parto di Forza Italia: ancora una volta i boss ci avrebbero messo lo zampino. E Dell'Utri sarebbe stato al centro delle trame. Dell'Utri, per i pm di Palermo e non solo per loro, è sempre al centro delle trame, solo che le trame sono inafferrabili. Di volta in volta Dell'Utri è stato accreditato come complice del Cavaliere nel mulinìo degli affari sporchi, ma anche in alternativa come cerniera nei rapporti con Cosa nostra che secondo la Cassazione, sarebbero provati prima del 1978.

Contemporaneamente alcuni pentiti hanno raccontato che il Cavaliere, lo stesso che avrebbe ricevuto i fantomatici soldi dei boss alla nascita del suo impero, pagava, sempre in epoca remota e televisivamente pionieristica, 200 milioni al mese a Riina per evitare attentati alle antenne delle sue tv. E allora cucendo in qualche modo pezzi di sentenze, spunti investigativi e antiche suggestioni, si tenta di dimostrare quel che finora non è stato dimostrato: il Cavaliere era in balia delle cosche e Dell'Utri era il loro cavallo di Troia ad Arcore. «È illogico, è ridicolo, è senza senso», ribatte il senatore che conosce l'ex premier da una vita.

Non importa. La Procura di Palermo, che già aveva passato al setaccio le società della Fininvest e la loro genesi, ora si concentra sui rapporti intercorsi nell'ultimo decennio fra i due. E mette nel mirino villa Comalcione, a Torno, sul lago di Como, passata di mano nel marzo scorso. Per i pm i flussi di denaro, circa 40 milioni, sarebbero eccessivi e spalancano la porta sui sospetti: la villa sarebbe stata venduta dal senatore al Cavaliere per 21 milioni quando ne valeva, sulla base di un expertise, solo 9. Perché gonfiare in questo modo il prezzo? La risposta, disarmante, è che in qualche modo Silvio avrebbe comprato non solo lo splendido edificio, ma soprattutto il silenzio ricattatorio dell'amico che però, par di capire, non avrebbe agito in proprio ma per conto delle famiglie di Cosa nostra. Una vicenda incredibile che rivernicia e aggiorna vecchie teorie e dietrologie. Dell'Utri risponde colpo su colpo: la villa, secondo lui, valeva molto di più, circa 30 milioni e dunque avrebbe fatto addirittura un regalo al Cavaliere, o almeno un super sconto; inoltre la famosa perizia, datata 2004, sarebbe vecchia e confonderebbe le idee perché la valutazione sarebbe stata fatta prima dei lavori svolti in seguito: «Ho speso - spiega Dell'Utri - 10 milioni per ristrutturare la dimora». Insomma, per farla breve, non ci sarebbe nessun mistero. In ogni caso i prestiti di Berlusconi sarebbero finiti nei conti del parlamentare preso il Credito fiorentino e l'accordo su villa Comalcione sarebbe stato raggiunto a Milano. Palermo, a prima vista, non c'entra, ma rientra dalla finestra se si sostiene che quel denaro non sarebbe il prezzo del silenzio, ma addirittura il pizzo destinato a Cosa nostra. A conti fatti, il Cavaliere pagherebbe le decime alla mafia da una quarantina d'anni.

Un guazzabuglio investigativo che riporta le lancette indietro. Ufficialmente la famiglia Berlusconi non commenta, ma l'amarezza è palpabile e ad Arcore si ipotizza un nuovo assedio: si passano al pettine per l'ennesima volta i rapporti fra il Cavaliere, che presto dovrebbe essere ascoltato dai pm, e Dell'Utri; contemporaneamente l'indagine sporca la figura di Marina Berlusconi, pure convocata per il 25 luglio. «Reagiremo in ogni sede - afferma l'avvocato Niccolò Ghedini in una nota che riflette gli umori della famiglia - non è dato comprendere, dopo quasi vent'anni di continue indagini il cui risultato è sempre stato la dimostrazione dell'estraneità della Fininvest e di Berlusconi a qualsiasi illecito, quali siano le ragioni che inducono la procura di Palermo ad indagare il senatore Dell'Utri per fatti che francamente sono difficili non solo da ipotizzare ma anche solo da concepire». E l'irritazione del Cav traspare anche dalle parole che Ghedini dedica al metodo dell'indagine: non è dato «comprendere come la procura di Palermo possa ritenersi legittimata ad assumere il presidente Berlusconi ben sapendo che per la sua situazione processuale pregressa non ha alcun obbligo di rendere dichiarazioni, situazione che fra l'altro si estende alla posizione di Marina Berlusconi quale figlia».

Dell'Utri, invece, con sprezzo del pericolo si butta nelle polemiche di giornata: «La trattativa fra lo Stato e Cosa nostra? Se c'è stata per evitare guai peggiori è stata la cosa giusta».

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