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Unipol, ennesimo teorema per eliminare Berlusconi

Nella sentenza si sostiene che Berlusconi agì in qualità di avversario politico di Fassino. Ma è solo un altro teorema montato dai giudici per far fuori il Cav

Unipol, ennesimo teorema per eliminare Berlusconi

Secondo il teorema montato ad arte dai giudici, il ruolo di Silvio Berlusconi nella vicenda dell’intercettazione tra Piero Fassino e Giovanni Consorte fu decisivo. Nelle motivazioni della condanna, costata al Cavaliere in primo grado una condanna a un anno di reclusione, la magistratura spiega che senza "l'apporto in termini di concorso morale" dell’ex premier "non si sarebbe realizzata la pubblicazione". "La qualità di capo della parte politica avversa a quella di Fassino - si legge nella sentenza - rende logicamente necessario il suo benestare alla pubblicazione della famosa telefonata". In realtà l'unico bersaglio del caso Unipol è lo stesso Berlusconi che è rimasto vittima dell'ennesimo teorema costruito dalla magistratura milanese per farlo fuori politicamente e decapitare, in questo modo, il centrodestra.

Secondo i giudici, la sera della vigilia di Natale del 2005 ad Arcore, Berlusconi ascoltò "attraverso il computer, senza alcun addormentamento (...)", la registrazione audio della telefonata intercettata tra Fassino e Consorte, poi pubblicata sul Giornale. In un passaggio delle motivazioni della sentenza si fa riferimento al fatto che alcuni imputati hanno sostenuto che l’ex premier aveva gli occhi chiusi mentre veniva fatta ascoltare la telefonata. "Va inoltre considerato il periodo in cui venne effettuata la pubblicazione - continua la sentenza - a quattro mesi dalle elezioni e nel pieno delle vacanze natalizie, periodo di scarsa affluenza di notizie politiche più importanti: l’interesse politico delle intercettazioni era pertanto evidente così come la volontà di darvi risalto". I giudici del tribunale di Milano nel condannare il Cavaliere a un anno di reclusione hanno ritenuto di non concedere le attenuanti generiche all’ex presidente del Consiglio tenendo conto della "sua qualità di pubblico ufficiale" e della "lesività della condotta nei confronti della pubblica amministrazione".

Basta leggere la sentenza per capire che quello costruito dai giudici è un castello di sabbia. "Nel Paese in cui il segreto d’ufficio è una barzelletta, nel Paese in cui non si mai voluto accertare gli affari sporchi dietro la scalata di Unipol a Bnl, nel Paese in cui le vicende che hanno coinvolto Penati sono state provvidenzialmente prescritte - tuona il ppl Sandro Bondi - si condanna un leader politico sulla base di motivazioni surreali per concorso in rivelazione di segreto d’ufficio".

"Le motivazioni della sentenza dimostrano ancora una volta la impossibilità di celebrare dei processi a Silvio Berlusconi a Milano", affermano i legali del Cav, Niccolò Ghedini e Piero Longo secondo cui non manca la "logica giuridica" nella sentenza, "Tale decisione appare ancor più straordinaria visto che ad un incensurato si negano non solo le attenuanti generiche ma anche la sospensione condizionale, confermando vieppiù il pregiudizio".

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