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Una cassetta di sicurezza è l'ultimo trucco anti-Cav

I pm di Napoli hanno chiesto al Parlamento il permesso di aprirla, così le carte sono finite in pasto ai giornali

Una cassetta di sicurezza è l'ultimo trucco anti-Cav

Milano - Stavolta Silvio Berlusconi non ha potuto gridare alla fuga di notizie. Non ha potuto lamentarsi della pubblicazione sui giornali di materiale coperto dal segreto istruttorio. Tutto, o quasi tutto, quello che nelle ultime 48 ore è apparso sui giornali in relazione all'inchiesta della procura di Napoli sui rapporti tra il Cavaliere e il senatore Sergio De Gregorio era di pubblico dominio per un motivo assai semplice: si tratta del materiale contenuto nella richiesta di autorizzazione a procedere inviata dai pm partenopei alla Camera dei deputati. Cento pagine tonde tonde che raccontano per filo e per segno i risultati raggiunti dall'inchiesta napoletana, elencando uno per uno gli elementi che portano il pm Woodcock e i suoi colleghi ad accusare Berlusconi di corruzione e di finanziamento illecito per avere comprato con tre milioni di euro il passaggio di De Gregorio nelle file del centrodestra.

Di fatto, l'intero contenuto dell'inchiesta è stato portato alla luce il giorno stesso in cui si è saputo della sua esistenza. Ma perché i pm si sono rivolti a Montecitorio? In teoria, avrebbero potuto limitarsi a notificare a Berlusconi l'invito a comparire, e a quel punto solo il Cavaliere avrebbe saputo ufficialmente dell'indagine, e comunque sarebbero stati messi in circolazione molti meno dettagli di quello che è avvenuto trasmettendo gli atti alla Camera. Un minuto dopo essere arrivati in Parlamento, le cento pagine erano già nelle redazioni dei giornali, e due minuti dopo venivano sparate nell'orbita del web.
Eppure la Procura avrebbe potuto continuare tranquillamente a indagare su Berlusconi senza bisogno del permesso della Camera, perché l'autorizzazione a procedere non è più necessaria da molti anni. Woodcock e i suoi colleghi hanno però ritenuto di dover compiere a tutti i costi e urgentemente due atti che invece hanno bisogno dell'ok di Montecitorio: aprire una cassetta di sicurezza intestata a Berlusconi, e acquisire i tabulati telefonici di una sua utenza milanese. In realtà, secondo quanto ha affermato Niccolò Ghedini, la cassetta appartiene al Pdl, che è disposto a consegnarne il contenuto ai pm senza tante formalità. «Bastava chiedere», dice Ghedini. E i tabulati telefonici (relativi a solo a 38 giorni, tra fine 2011 e inizio 2012) sono un dato intangibile e ben custodito, che i pm avrebbero potuto acquisire più in là senza bisogno di scoprire così in fretta le loro carte.

E allora? La sostanza è che la procura di Napoli un risultato lo ha comunque ottenuto: ha rivelato i contenuti dell'indagine per interposto Parlamento, mettendosi così al riparo da qualunque accusa di violazione del segreto istruttorio. Solo i pm di Napoli sanno se si sia trattato unicamente di un effetto collaterale, più o meno messo nel conto. Di certo c'è che la vicenda ha un precedente storico che ben avrebbe potuto mettere i pm sul l'avviso di quanto sarebbe accaduto mandando gli atti alla Camera, ed anche questo riguarda Berlusconi: la richiesta di autorizzazione a perquisire un ufficio di Giuseppe Spinelli, ragioniere di fiducia del Cavaliere, inviata a Montecitorio nel gennaio 2011. La richiesta venne respinta, e l'indagine andò avanti lo stesso, tanto che Berlusconi venne rinviato a giudizio ed è sotto processo. Ma appena arrivati sul tavolo della Giunta per le autorizzazioni a procedere, gli atti milanesi erano stati presi d'assalto dai cronisti. La stessa scena si era ripetuta poche settimane dopo, quando Ilda Boccassini aveva inviato 400 pagine di integrazione.

E, inevitabilmente, si è ripetuta adesso con le carte di Napoli.

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