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Il Cav preferisce tornare al voto ma è pronto all'ok sulle riforme

Berlusconi ai suoi: sarebbe il terzo premier non eletto, meglio le urne. E attende Renzi al varco: non rinviamo il riassetto dello Stato al 2018

Il Cav preferisce tornare al voto ma è pronto all'ok sulle riforme

«O mi sono perso qualcosa, oppure per quanto ne so io i cambi della guardia a Palazzo Chigi dovrebbero passare per le urne». In pubblico tace, ma la linea che Berlusconi «gira» a chi ha occasione di sentirlo per concordare la posizione da tenere davanti a taccuini e telecamere è chiara. Sostenevamo la necessità di tornare al voto già due anni fa – è il senso del ragionamento del Cavaliere – figuriamoci se possiamo appoggiare il terzo premier consecutivo che arriva a Palazzo Chigi senza un mandato popolare.
Il leader di Forza Italia, insomma, si limita a restare alla finestra ma non vede di buon occhio la staffetta tra Letta e Renzi che in queste ore viene accreditata con forza dai rumors del Palazzo. «Sono cose loro, se le risolvano in casa loro e poi pensino a governare», ripete in queste ore Berlusconi. Che, certo, non si straccia le vesti comunque vada a finire la partita. Se alla fine il premier vincerà il braccio di ferro con il sindaco di Firenze e resterà a Palazzo Chigi il suo logoramento è infatti praticamente scontato. Dovesse invece passare l'ipotesi staffetta, il segretario del Pd dovrà per la prima volta mettersi in discussione. Che non è un dettaglio secondo il Cavaliere. Renzi – riflette – dovrà dimostrare di saper passare dalle parole ai fatti.
Per il rottamatore, insomma, il rischio concreto è quello di finire impelagato nelle beghe di partito e perdere così il suo smalto del nuovo che avanza. Anche perché un eventuale governo a sua guida dovrebbe tenere insieme non solo un Pd dilaniato ma pure Sel, Scelta Civica e Ncd, il tutto strizzando l'occhio ad eventuali fuoriusciti del M5S. Uno scenario quantomeno articolato. Nel quale con ogni probabilità la riforma della legge elettorale subirebbe un brusco stop. Ed è questo l'unico vero timore di Berlusconi, preoccupato di un rinvio sine die delle riforme, perché il via libera a una nuova legge elettorale porterebbe dritto alle elezioni (mentre con un eventuale governo Renzi l'orizzonte si sposterebbe al 2018). E sul punto l'ex premier ha le idee chiare, deciso a portare a casa non solo la nuova legge elettorale ma pure l'abolizione del Senato. “Ma in tempi certi”, ripeteva ieri al telefono parlando di “un anno al massimo”. Insomma, se Renzi pensa di “diluire” il cammino riformatore fino al 2018 è plausibile pensare che il Cavaliere sia pronto a dire di no.
Nella partita in corso, infatti, la tempistica ha un peso non indifferente. Non solo perché nel corso di quest'anno per il Cavaliere passeranno i nove mesi d'interdizione dai pubblici uffici (e potrebbe pensare a tornare in campo per un eventuale tornata elettorale nel 2015) ma anche perché con davanti a se tre anni a Palazzo Chigi Renzi avrebbe la possibilità di prepararsi alla perfezione una campagna elettorale vincente per poi sbancare nel 2018.
Intanto, resta sullo sfondo il caso Napolitano. Con Il Mattinale, la nota politica del gruppo Forza Italia alla Camera, che si chiede perché solo adesso si sia aperto un caso su fatti del 2011 con interviste che Friedman aveva peraltro raccolto la scorsa estate: “Dunque la domanda è: perché ora? E perché quei signori si decidono a testimoniare? Ci permettiamo la sinteticità: Monti-rancore; De Benedetti-calcolo; Prodi-interesse. Corriere della Sera? Lunedì pro.

Martedì così così”.

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