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Il Cav preoccupato dal Lazio in dubbio il suo ritorno in tv

Berlusconi striglia i suoi: questa volta le Procure non c'entrano, la colpa è solo nostra. E congela la campagna mediatica

L'ex premier Silvio Berlusconi
L'ex premier Silvio Berlusconi

Parla poco il Cavaliere durante le tante riunioni che si susseguono a Palazzo Grazioli, ben consapevole che dovesse dire quel che davvero pensa rischierebbe d'essere tutt'altro che affabile e cortese. Sul caso Lazio, infatti, Silvio Berlusconi è tranchant, convinto che sia stato davvero da «pazzi» infilarsi da soli in una cosa del genere. Questa volta non c'entra la sinistra e non c'entrano le procure, è il senso dei suoi ragionamenti, ma solo l'idiozia di chi pensava di risolvere diatribe interne al partito buttando fango sugli avversari di corrente. Uno scontro tutto interno al Pdl, senza neanche l'alibi del dualismo tra ex Forza Italia ed ex An. Già, perché nel Lazio la guerra è stata trasversale, il primo vero scontro fratricida in vista della stesura delle liste per le prossime elezioni politiche. Una guerra dalla quale ne escono sconfitti tutti i big del Pdl laziale, al netto di torti e ragioni comunque ridimensionati perché far esplodere una bomba del genere è - per usare un eufemismo - da novellini.

Una vicenda che il Cavaliere vorrebbe fosse almeno d'insegnamento, visto che sa bene quanto la tensione per le liste elettorali sia alta anche in altre regioni, prima tra tutte la Lombardia. Altri scivoloni non sarebbero peraltro ammissibili visto che situazioni come quella del Lazio sono destinate a pesare su tutto il Pdl. I sondaggi di Alessandra Ghisleri ancora non sono aggiornati al dopo-Lazio, ma di certo una flessione ci sarà. Cosa che a Berlusconi non farà piacere, visto che ci sono voluti ben due mesi per riuscire a rimettere le cose sulla giusta carreggiata e riportare il Pdl dal 18% di giugno al quasi 22% della scorsa settimana. Un trend positivo, al punto che Berlusconi la prossima settimana aveva deciso di tornare in televisione, ospite magari di Porta a Porta. Ma dopo le novità delle ultime ore tutto è di nuovo in forse. Si vedrà nei prossimi giorni, anche perché non è affatto escluso che Renata Polverini possa alla fine decidere di dimettersi nonostante il forte pressing di tutto il partito per restare alla Pisana. Già, perché quello che vogliono evitare a via dell'Umiltà è che si torni alle urne nel Lazio, magari a novembre. Con il rischio di una débâcle.

Si gioca quindi d'attacco. Con Angelino Alfano che sottolinea come nel Pdl ci sia stata una forte reazione. Prima con la sospensione dal partito di Franco Fiorito, poi con il sostegno al piano di riforme della Polverini e infine con il rinnovamento dei vertici del gruppo consiliare. Ora, aggiunge il segretario del Pdl, «ci aspettiamo che anche gli altri partiti si comportino come noi». «In 48 ore - gli fa eco Ignazio La Russa - il partito ha svolto un'opera moralizzatrice e di trasparenza». Mentre Fabrizio Cicchitto, ben consapevole del fronte che si aprirebbe in caso di elezioni anticipate, ribadisce il suo invito alla Polverini a restare alla guida della Regione Lazio «per cambiare le cose».

Ma a via dell'Umiltà c'è anche chi prende spunto dalla vicenda per invocare un repulisti generale. Per Guido Crosetto è il momento di dire basta a «approfittatori e peracottari», mentre secondo Laura Ravetto bisogna «mettere mano alle ramazze». Particolarmente critica è Mara Carfagna che invita a «fare piazza pulita» già nella stesura delle prossime liste elettorali. Ed è questo il punto. Non solo perché quel che sta accadendo potrebbe in qualche modo «favorire» quell'azione di rinnovamento del partito che Berlusconi vuol fare da tempo, ma anche perché sarebbe un modo per attutire la guerra sulle liste elettorali che è destinata a farsi sempre più dura. Uno studio sul tavolo dei vertici di via dell'Umiltà, infatti, dice che dagli oltre 300 deputati attuali il Pdl - in caso di sconfitta - passerebbe a circa 100, di cui meno di uno su tre andrebbe in quota agli ex An. Secondo i maligni, alla fine sarebbero meno di venti (il minimo necessario a costituire un gruppo parlamentare autonomo). Ed è questa la ragione per cui ancora ieri La Russa insisteva per la scissione «concordata».

Con Berlusconi che ha risposto allo stesso modo di mercoledì: prima vediamo con quale legge elettorale si vota.

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