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Cav pronto a trattare sul Colle E il Pd risponde con gli insulti

Berlusconi disposto a dare il via libera a un governo Bersani in cambio dell'elezione di un esponente del centrodestra al posto di Napolitano. Ma per la sinistra è "indecente"

Cav pronto a trattare sul Colle E il Pd risponde con gli insulti

Roma - Berlusconi tende la mano al Pd. «Trattiamo su Colle e governo». Ma dalla sinistra, per ora, arriva lo schiaffo: «Picche». Il giorno dopo la prova di forza dei democratici che ha portato Boldrini e Grasso ai vertici delle Camere, il Cavaliere attiva i pontieri. L'obiettivo è duplice: concordare con Bersani un personaggio di garanzia al Quirinale che non abbia un atteggiamento pregiudizialmente ostile nei confronti di Berlusconi e il Pdl; auspicare la nascita di un governo di larghe intese che faccia poche cose ma che sia in grado di far ripartire l'economia senza scivolare in misure populistiche ma recessive (su tutte una nuova patrimoniale). Al limite, Berlusconi sarebbe addirittura disposto a togliere il veto sul nome di Bersani. Il ragionamento del Cavaliere matura nella notte di ieri. «La partita vera si gioca sul successore di Napolitano», conviene coi suoi l'ex premier, consapevole che la connotazione così marcata dei neo eletti vertici delle due Camere sarà spendibile nella prossima delicatissima trattativa. «Il Pd ha imposto i suoi uomini sia alla Camera sia al Senato. Ora non può imporre un suo nome anche per il Colle», è il ragionamento di Berlusconi. Certo, il Pd potrebbe agire come ha agito con le elezioni di Boldrini e Grasso, facendo prevalere un candidato non condiviso. Berlusconi teme Rodotà (che piacerebbe tanto ai grillini e sarebbe una sorta di Grasso al Colle), Gustavo Zagrebelsky ma soprattutto Romano Prodi. In tutti i casi un ulteriore grave strappo. Per scongiurarlo, il Cavaliere pensa o a un candidato di bandiera (scontato Gianni Letta) o a un nome che possa piacere anche alla sinistra e non dispiacere troppo ai moderati (Napolitano bis, Amato e, più che D'Alema, Franco Marini). Ma dal Pd la risposta sembra un ruvidissimo «no». A quel punto Berlusconi non avrebbe altra scelta: barricate. Il che vuol dire richiami alla piazza (già pronta la grande manifestazione del 23 marzo in piazza del Popolo a Roma) ma soprattutto porte sbarrate a qualsiasi ipotesi di formare un governo. Cosa che non vuole nessuno ma soprattutto Napolitano, attento ai mercati, alle cancellerie europee, all'immagine di un Paese ellenizzato. Così, in mattinata, è lo stesso segretario Alfano, dalla Annunziata, ad aprire: «Agevolerebbe anche la nascita del governo Bersani il fatto che la sinistra si renda conto della esigenza di rappresentanza del popolo dei moderati al Quirinale». Più chiaro: «La rappresentanza istituzionale del popolo dei moderati al Quirinale e la gestione della crisi: sono queste le due questioni che noi porremmo a Bersani. Se si vuole dare al Paese senso di unità la presidenza della Repubblica deve andare a un uomo del centrodestra: noi non abbiamo malattie».
La risposta del Pd, tuttavia, è di chiusura netta. «Per scambi indecenti qui non c'è recapito». Insomma, porte sbarrate. Il che porta irrimediabilmente il Pdl su posizioni più dure e intransigenti. Tradotto: chiusura totale su ogni ipotesi di formare un esecutivo, delle larghe intese o di scopo; richiamo alla piazza denunciando l'occupazione delle istituzioni da parte di una sinistra vorace; ma soprattutto muro contro muro con le procure più politicizzate. Le quali non stanno certo ferme. A breve è prevista la sentenza di primo grado del processo Ruby ma, soprattutto, in autunno potrebbe arrivare dalla Cassazione la sentenza su Mediaset, con annessa ineleggibilità dell'ex premier. A questo punto il clima già torrido potrebbe arroventarsi ancor di più.
Che fare? Berlusconi è determinato e preoccupato nello stesso tempo. Ripete ai suoi: «Non sono riusciti a farmi fuori democraticamente col voto. Lo vogliono fare tramite le procure. Ma non ci riusciranno». Le prossime mosse le vuole concordare coi suoi. A palazzo Grazioli chiama quindi Alfano, Gasparri, Cicchitto e Letta. Un summit che non fa che trovare d'accordo tutti sulla lettura sintetizzata dall'ex ministro Mariastella Gelmini: «Sarebbe gravissimo che il Pd, che rappresenta soltanto un terzo dell'elettorato, volesse fare l'asso piglia tutto».

E Laura Ravetto: «L'Italia non è un Paese di sinistra, dunque non è possibile che tutte le principali cariche istituzionali siano espressione solo di una parte dell'elettorato».

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