Politica

La condanna dei quarantenni: eterne promesse

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Siamo quarantenni e anche qualcosa di più. Giriamo da un convegno all'altro, ad ascoltarci tra di noi. Senza un leader. Senza sapere dove andare, in attesa che qualcuno ci dica che finalmente tocca a noi. Siamo l'ultima generazione perduta che non riesce a uccidere nonni e padri, presto soppiantata dai nostri figli, più leggeri, tecnologici e soprattutto diversamente incazzati.
Il macrotema generazionale tira, per via dell'effetto nostalgia. Il come eravamo di chi crede nella dieta Dukan. A «Vedrò» quest'anno e fino a mercoledì a Dro in Trentino (siamo all'ottava edizione dell'evento fondato da Enrico Letta e Anna Maria Artoni) si discute di questo: potremo mai diventare eroi? Sottotitolo: i superpoteri degli italiani. L'atmosfera è rilassata e informale, come si usa in un ritrovo tra vecchi amici. Concesso persino il tragico bermuda agli uomini, mentre sui cartellini di riconoscimento appesi al collo si rivelano i nati negli anni '80 e i loro nomi esotici (Katia, Pablo, Jordan, Candida, Gaia e Giada). Tra le specie umane più gettonate, il finanziere creativo, il manager (...)

(...) culturale, il cervello fuggito e poi tornato, l'inventore di aziendine start up, il teorico del chilometro zero e della filiera corta, eredi geneticamente modificati dei radical chic.
All'inizio erano i 30-40enni che avrebbero dovuto cambiare l'Italia, dopo aver ascoltato gli stessi dischi, visto gli stessi film e giocato con il Subbuteo. Nel frattempo sono (ahimè, siamo) diventati 40-50enni e le teste grigie stanno prendendo il sopravvento sulle giovani eterne promesse. Ed è già quasi un Jurassic Park nonostante l'indiscriminato uso di Twitter. Rivendicando l'appartenenza generazionale, e solo quella, il messaggio doveva essere chiaro: ora tocca a noi prendere le redini di questo dannato Paese di vecchi. Però di anno in anno la discesa in campo è stata rimandata, perché è più semplice osservare e criticare piuttosto che gettarsi nella lotta e sottoporsi al giudizio vero, quello che decide se sei adatto tu, ex giovane virgulto, a rappresentare gli altri, i cosiddetti normali alle prese con le noie quotidiane del mutuo e delle rate, che sembra che qui nessuno abbia di questi problemi.
La domanda che aleggia nell'aria tra i simpatici vedroidi (cercando le risposte negli interventi di navigati marpioni quali Fulvio Conti, ad Enel, e Franco Bernabè, presidente Telecom): esiste una ricetta per uscire dal dramma? E se sì, a chi toccherà la fase nuova? Si sente però, e piuttosto clamorosa, la mancanza della politica. Inutile stare a discutere se poi nessuno può trasformare in fatti concreti le pur brillanti idee. La prima, la più urgente, rilanciare il mondo del lavoro vero, perché lo ha detto bene Conti trasformare l'Italia da realtà industriale a giardino arcadico per turisti è una follia.
L'anagrafe da sola non basta. Giovani lo si è per troppo poco tempo per basare un programma su una così fugace età della vita. E quasi quasi viene il dubbio che i «vecchi» di cui si chiede sempre più insistentemente, da destra e manca, la rottamazione, siano ancora più bravi di chi continua a chiamarsi ragazzo e finora ha combinato poco o nulla. Se sei meglio di un altro lo spazio (il potere) te lo prendi e basta, senza tentennamenti, mentre il giovane per natura esita, rimandando di giorno in giorno l'ingresso nel tempo adulto. In altri momenti c'è stato chi ha formato un partito in pochi mesi vincendo le elezioni e governando a lungo. Oggi l'impressione è di essere davanti a uno spezzatino simile al campionato di calcio. È inutile. Senza eroi, senza leader non si va da nessuna parte. Lo dimostrano i Paesi più evoluti e le città più ricche. Dove cercare questa figura di riferimento? Nella politica, proprio come accade ovunque nel mondo. Di valore, qualità. Leadership e concretezza. Università, laboratori, convegni e think tank da soli non bastano.

di Luca Beatrice

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