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Così l'Europa si mangia i nostri soldi al terzo mondo

L'87% delle risorse stanziate dall'Italia finisce nelle casse di Bruxelles o di istituzioni finanziarie internazionali. Un disastro per il volontariato

Così l'Europa si mangia i nostri soldi al terzo mondo

Il ritornello dell'Italia ultima ruota del carrozzone occidentale nel campo degli aiuti lo conoscono tutti. Pochi sanno, però, che i soldi pubblici per lo sviluppo finiscono in gran parte nella casse dell'Unione europea e di istituzioni finanziarie internazionali. Solo il 13,4% dei 1895,4 milioni di euro previsti per il 2013 verranno gestiti direttamente dalla Cooperazione e dal ministero degli Esteri. Nel 2011 i paesi donatori aderenti all'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) indirizzavano invece il 70% al canale bilaterale. Ovvero trattavano direttamente con i paesi beneficiari con un indubbio guadagno geopolitico.

La distorsione degli aiuti allo sviluppo è stata sollevata di recente all'interno di Confindustria Assafrica e Mediterraneo, l'associazione per lo sviluppo delle imprese italiane in queste aree delicate.
L'Italia nel 2013 stanzia in totale 1895,4 milioni di euro per l'«aiuto pubblico allo sviluppo». L'86,6% di questa cifra viene destinata dal ministero delle Finanze al canale multilaterale. In pratica 1346 milioni vanno a finire all'Unione europea, nel pozzo senza fondo di Bruxelles e altri 295 alle istituzioni finanziarie internazionali come le banche di sviluppo. Questo secondo importo è probabilmente sottostimato e non include i contributi alle agenzie delle Nazioni Unite, un'altra piccola voragine che fa bella l'Onu, ma di meno l'Italia.

«Per il volontariato italiano il fatto che l'86% del nostro aiuto pubblico allo sviluppo sia gestito all'estero è un disastro - sottolinea una fonte del Giornale in Confindustria Assafrica e Mediterraneo - Inoltre viene disatteso uno degli obiettivi della legge vigente secondo la quale questo denaro deve essere anche uno strumento della politica estera italiana».

Al contrario deleghiamo a Bruxelles l'utilizzo del grosso dei nostri soldi per lo sviluppo anche in aree strategiche come l'altra sponda del Mediterraneo. Al canale bilaterale gestito direttamente rimangono le briciole: 254,4 milioni di euro. Stiamo parlando di appena il 13,4% della torta. Secondo i dati del Comitato dell'assistenza allo sviluppo dell'Ocse, nel 2011 i paesi aderenti hanno indirizzato il 70% degli aiuti al canale bilaterale.

L'Italia non riesce neppure a seguire l'esempio francese e tedesco di «cooperazione delegata» ovvero gestione dei fondi di aiuto per conto della Commissione europea. Il problema è che l'ente delegato deve cofinanziare il progetto. Impresa ardua tenendo conto che la Farnesina ha fondi limitati a causa dell' «altruismo» verso Bruxelles. Nelle 35 pagine delle linee guida per il 2013-2015 della Cooperazione allo sviluppo non c'è alcun cenno alla delega sui fondi comunitari.

L'analisi realizzata all'interno di Confindustria Assafrica punta il dito anche contro il mancato «ritorno» per le nostre aziende degli stanziamenti alla Ue. Dei 1346 milioni di euro previsti per quest'anno, 457 sono destinati al decimo Fes, il Fondo europeo di sviluppo. Lo scorso settembre è stata inviata a Bruxelles una nota assai critica sull'efficacia concreta del Fondo da Confindustria Assafrica assieme alle associazioni simili di Germania e Francia. «L'unico progetto di rilievo finanziato dal Fes, che ha avuto come promotore un'azienda italiana di rilievo è un parco eolico di Enel Green Power in Messico realizzato, peraltro, con impianti di origine spagnola» stigmatizza la fonte del Giornale.

Solo il tradizionale dinamismo delle nostre medie imprese ci ha dato qualche soddisfazione, ma appena sul 20% del Fondo europeo destinato ai progetti.

L'intera politica degli aiuti allo sviluppo va rivista anche nell'ottica di un sistema cresciuto a dismisura. Secondo un censimento della Banca mondiale si contano 33 importanti paesi donatori, in base a requisiti occidentali, 40 agenzie delle Nazioni Unite, 24 banche di sviluppo e 280 agenzie bilaterali. Oltre a 250 fondi o agenzie di esecuzione dei progetti di rilievo (un centinaio solo nel settore sanitario). A questa Babele umanitaria va aggiunto un numero imprecisato di Ong e fondazioni private. «Un complesso burocratico-finanziario degli aiuti formato da un esercito di mezzo milione di persone - spiega la fonte del Giornale - che va profondamente ripensato in termini di efficienza e di criteri per le politiche di sviluppo.

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