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Svuotavano le casse e si regalavano stipendi d'oro

Dai 400mila euro di aumento per Mussari ai 4 milioni di buonuscita per l'ex dg Vigni

Svuotavano le casse e si regalavano stipendi d'oro

L'ex presidente Mussari si aumenta fino a 350mila euro lo stipendio che era già corposo di suo (400mila). Il numero due Vigni si è beccato 4 milioni di euro di buonuscita, come «adeguato riconoscimento per l'opera svolta di questi anni alla guida della Banca». Eccoli i protagonisti del crac Mps. Partiamo da Vigni, direttore generale di Banca Monte dei Paschi dal 2006 fino al 12 gennaio 2012, quando il Cda della banca approva – come si legge nella Relazione sulla remunerazione 2012 – il suo licenziamento. Vigni, braccio destro del presidente Mussari in Mps, è l'autore principale dell'operazione Antonveneta, l'iceberg che apre una falla spaventosa nel Titanic senese. Anche lui è indagato, come Mussari, dalla Procura di Siena. Quando il nuovo Cda si riunisce il dg non è ancora ufficialmente sotto indagine, ma dentro Rocca Salimbeni sanno tutto, e decidono il siluramento. Immediato ma addolcito, diciamo così, da un «incentivo» alle dimissioni, 4 milioni di euro tondi tondi, oltre allo stipendio annuale di 1,6 milioni di euro. «Nella riunione del 12 gennaio 2012 il Consiglio di amministrazione ha approvato la risoluzione del rapporto di lavoro, in via consensuale, con il dottor Antonio Vigni, dal 2006 direttore generale della Banca. La Banca ha corrisposto al dottor Vigni la somma lorda di 4 milioni di euro a titolo di incentivo per agevolare la risoluzione del rapporto di lavoro». Al danno si aggiunge la beffa quando i nuovi capi di Mps scrivono che così «si è mirato a coniugare la politica del contenimento dei costi con l'obiettivo di assicurare al dott. Vigni l'adeguato riconoscimento per l'opera svolta in questi anni alla guida della Banca». Certo, c'è il contratto nazionale dei dirigenti che prevede un compenso per la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, ma di fronte al disastro Mps-Antonveneta, con responsabilità precise, 4 milioni di euro come «incentivo» a non restare più nella banca, appaiono una beffa.

La banca e la Fondazione, dal 2006 in poi soprattutto, vengono spolpate, e i loro amministratori continuano a incassare compensi d'oro. A cominciare dal presidente Mussari, che appena arrivato, nel 2006, si aumenta l'indennità di carica. Il suo predecessore, Pierluigi Fabrizi, presidente Mps nel 2005, percepiva 372mila euro come stipendio annuale, Mussari, pochi mesi dopo, ne prende 483.780. Ma non basta, perché solo qualche anno dopo, nel 2009, lo stipendio di Mussari è già lievitato a 716mila euro, come minimo. «In conformità a quanto previsto dallo Statuto – si legge in una relazione ufficiale - in data 25 Giugno 2009 l'Assemblea della Banca ha deliberato di riconoscere al Presidente Avv. Giuseppe Mussari un compenso annuo fisso lordo di 700.000,00, comprendente anche l'emolumento spettante come membro del Consiglio, cui si potrà aggiungersi un'ulteriore parte variabile fino ad un massimo di 150.000,00 eventualmente da attribuire su delibera del Cda». C'è da togliere però dai 70mila ai 100mila euro l'anno, ogni anno, dalla retribuzione dell'avvocato Mussari.

La cifra, cioè, che regolarmente, per dieci anni, il presidente Mps ha versato nelle casse del Pd di Siena (quasi 700mila euro regalati da Mussari al partito), pratica seguita da molti altri top manager e dirigenti della banca. La liquidazione quando è uscito per andare a presiedere l'Abi, nel 2012, quella sembra che la banca l'abbia risparmiata, perché non è prevista per la presidenza, anche se va aggiunto invece il compenso da presidente della Fondazione Mps, incarico precedente di Mussari e ben retribuito, attorno ai 250mila euro (le fondazioni non hanno obblighi di rendere noti i compensi...).

Stipendi d'oro anche per i consiglieri di amministrazione di Banca Mps. Stiamo all'ultimo bilancio, quello del 2012. Più di 400mila euro l'anno per il vicepresidente vicario Ernesto Rabizzi (che poi regalava 75mila euro l'anno al Pd senese, anche lui un simpatizzante...), un po' meno, 145mila euro, per il vicepresidente Francesco Gaetano Caltagirone, suocero di Casini e capo di un impero di costruzioni. Minimo 100mila euro per gli altri, con un exploit del consigliere Alfredo Monaci, fratello del presidente del consiglio regionale (Pd) Alberto Monaci. Grazie agli svariati emolumenti nelle controllate del gruppo oltre che per la sedia nel cda, ad Alfredo Monaci è spettato un compenso annuo di 263mila euro. Ora l'ex consigliere ha rotto col Pd e corre con la Lista Monti, alla Camera. Più di 240mila euro anche per il professor Di Tanno, presidente del collegio dei sindaci di Mps, l'organo che doveva controllare che tutte le operazioni, negli anni caldi dell'acquisizione Antonveneta e di altre acrobazie finanziarie finite male, fossero corrette e trasparenti. Nella finanza, più ancora che in politica, chi sbaglia non paga.

Ma viene pagato.

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