Politica

Dai mondiali alle banche: se lo scandalo è globale

Gli scandali non accadono solo in Italia. Gli ultimi casi? Le accuse di corruzione all'emiro del Qatar e i guai di Bnp Paribas negli Usa

L'emiro Al Thani con la Coppa del mondo
L'emiro Al Thani con la Coppa del mondo

Guai a dire «tutto il mondo è paese», e consolarsi delle nostre tangenti con le sciagure identiche di buona parte del pianeta. Eppure questa pirotecnica stagione di arresti per corruzione che scuote l'Italia - prima l'Expo, poi il ministero dell'Ambiente, poi il Mose, domani sotto a chi tocca - sarebbe difficile da spiegare se non si guarda anche oltre i confini del Belpaese. Ricordarci che ogni nazione ha il Frigerio che si merita aiuta a non farsi illusioni, e a rassegnarsi al fatto che nascosto da qualche parte, tra le pieghe dell'animo umano e delle leggi del libero mercato, c'è una molla che a ogni latitudine fa scattare la mazzetta. La molla che spinge signori spesso maturi, abituati a una vita di agi e belle parole, a superare il ribrezzo quasi fisico che dovrebbe impedire di infilarsi in tasca un rotolo di banconote, di consegnare una busta rigonfia, di passare un pizzino con il numero del conto cifrato offshore. Convinti, chissà perché, di farla franca.

Invece franca non la fanno, o almeno non tutti. In alcuni paesi non viene arrestato quasi mai nessuno, e così sono considerati i paesi più trasparenti del mondo: ma è il caso di ricordare che anche l'onesta Svezia qualche anno fa venne beccata a piazzare a suon di tangenti i suoi jet in Sudafrica e i suoi cannoni all'India; e che l'onestissima Norvegia - parola del suo addetto commerciale a Milano - distribuiva stecche in Italia in cambio di appalti. Storie di qualche anno fa: forse in Scandinavia adesso sono diventati più onesti, forse semplicemente più furbi.

Nel resto del mondo c'è chi si fa incastrare con dabbenaggine quasi italica: in Inghilterra si ricordano ancora del figlio un po' scapestrato di Margaret Thatcher, quello diventato famoso per essersi perso durante la Parigi-Dakar, e scoperto poi a smistare miliardi di tangenti come piazzista di elicotteri inglesi nei paesi arabi: la storia venne fuori quando la Lady di ferro ormai si era ritirata, e riguardava la vendita di motori Rolls Royce per 88 elicotteri Black Hawk al governo saudita. In tempi più recenti, a Charlotte, in North Carolina, il sindaco democratico Patrick Cannon si è fatto consegnare delle buste piene di dollari da un paio di uomini d'affari: la sua carriera di politico rampante è finita quando i due finti corruttori hanno tirato fuori il distintivo dell'Fbi. Ma queste sono storie in fondo minute, che accompagnano le debolezze dell'animo umano fin dai tempi delle polis greche. E dove spesso, a scavare, oltre alla voracità dei politici viene a galla la loro necessità di spendere e spandere accanto a ragazze con la metà dei loro anni, ventate di freschezza in esistenze avviate all'autunno.

Al di sopra di questa prateria di miserie individuali, svettano i meccanismi della grande tangente, della mazzetta di Stato, dove diplomazia e quattrini sottobanco viaggiano paralleli. Nella pervicacia con cui la tedesca Siemens ha distribuito mance in mezzo mondo è difficile non vedere un suo ruolo di ambasciatrice del made in Germany. E anche il mirabolante caso delle tangenti con cui l'emiro del Qatar si è comprato i mondiali di calcio del 2022, acquistando il voto di stati e staterelli, apparterrebbe indubbiamente a questa categoria: se non fosse che poi, nei dettagli, si torna a respirare un'italica aria da «tengo famiglia», quando si scopre che il figlio di Michel Platini, boss dell'Uefa e grande elettore dei mondiali in Qatar, lavora proprio per la Qatar Sports. All'emiro, aggiudicarsi i mondiali pare che sia costato cinque milioni di dollari. Spiccioli, in fondo. Specie se confrontati ai dieci miliardi di dollari che Bnp Paribas rischia di dover restituire al governo americano per le sue operazioni in Sudan e altri paesi africani, o ai miliardi che le compagnie petrolifere di tutto l'Occidente (Eni compresa, secondo la Procura di Milano) smistano nei paesi produttori per garantirsi i giacimenti. O alle montagne di tangenti che le industrie delle armi, spesso con il silenzio assenso dei loro governi, spargono ai quattro venti: e anche qui, vedi le stecche di Finmeccanica al governo indiano per gli elicotteri Agusta, ci siamo anche noi. È il gran ballo mondiale della tangente di Stato, quello che davvero contribuisce a portare il fatturato planetario della corruzione alla bella cifra di un trilione di dollari l'anno, e dove l'Italia non si tira indietro: ma - dicono le statistiche - si espone meno di altri. Come dimostrò anche l'indagine Oil for Food condotta dalle Nazioni Unite, che raccontò assai bene come buona parte dell'Occidente sviluppato avesse fatto la cresta sugli aiuti umanitari all'Iraq sotto embargo.

In Italia, che come si sa è un paese di chiacchieroni, i corrotti si fanno beccare più facilmente, e così ogni retata va a gonfiare le statistiche di Transparency International, quelle che ci mettono come indice di «corruzione percepita» tra il Burundi e la Transnistria. Ma a pompare i numeri, oltre alla indubbia alacrità dei tangentari nostrani, contribuiscono ricercatori, esperti, statistici, il mondo variopinto dei professionisti dell'Anticorruzione: grazie ai quali l'anno scorso venne messa in giro una stima che indicava in 60 miliardi di euro il fatturato della corruzione in Italia.

Bastava ragionarci per capire che era una cifra inverosimile, e infatti alla fine non si capiva più chi se la fosse inventata: ma nel frattempo aveva fatto il giro del mondo.

Commenti