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Dodici magistrati si dimettono prima che scatti il taglio alle retribuzioni pubbliche

Dodici magistrati si dimettono prima che scatti il taglio alle retribuzioni pubbliche

RomaIn sette hanno tagliato la corda, andando in pensione, prima ancora che il governo abbassasse il tetto degli stipendi dei dirigenti pubblici, compresi i magistrati, da 311mila a 240mila euro lordi l'anno: sono sei presidenti di sezione e un consigliere della Corte dei Conti. Almeno altre cinque toghe contabili sarebbero pronte a seguire l'esempio alla prossima tornata, i primi di maggio. E molti ancora, nelle varie magistrature, stanno ragionando su come evitare ripercussioni troppo pesanti sulla busta paga, sia oggi al lavoro che domani a riposo.
Il provvedimento voluto dal premier Matteo Renzi e approvato il 18 aprile a Palazzo Chigi ha seminato l'allarme molto prima di venire alla luce. Soprattutto tra le toghe dalle retribuzioni più alte, ma anche tra le altre che prevedono un effetto a cascata.
Secondo il settimanale Panorama, in edicola oggi, «sono bastate le anticipazioni di stampa per convincere 12 giudici della Corte dei conti, tutti presidenti di sezione, a presentare le dimissioni nei giorni immediatamente precedenti». L'obiettivo sarebbe quello di evitare di «di subire immediati tagli retributivi e, in futuro, di avere una pensione più bassa». Notizie di fughe dai Tar o dal Consiglio di Stato, per ora non ce ne sono, mentre per Panorama in Cassazione «nelle scorse settimane si sarebbero dimesse un paio di toghe, ma a quanto pare forse per altri motivi».
Di sicuro, il verbale della riunione del Consiglio di presidenza della Corte dei conti del 15 e 16 aprile dice che sono state accolte le domande di collocamento a riposo di sette magistrati: i presidenti di sezione Rita Arrigoni, Francesco Pezzella, Giuseppe Cogliandro, Gianfranco Busseti, Ignazio Faso e Antonio Ferrara, fuori ruolo come controllore all'Inps e il consigliere Maria Fratocchi.
Naturalmente, la domanda l'avevano presentata in precedenza e nulla dichiara che siano stati i tagli renziani a determinarla, ma il clima che si respira alla Corte è certo di grande preoccupazione. Con accenti di rabbia per nulla contenuti. «Questa è una vera rivoluzione - commenta, furioso, un presidente di sezione -: vogliono far fuori l'alta dirigenza pubblica e prendersi tutto il potere. Altro che risparmi e crisi! Si parla di circa 200 persone e non è certo così che si risanano i conti». Tra i 460 magistrati contabili in questi giorni la domanda più gettonata era: i tagli di Renzi non toccheranno mica la buonuscita? Voce importante della busta paga quando si lascia il lavoro, è di centinaia di migliaia di euro, come somma accantonata in media in 40-50 anni. «Ci siamo convinti - sospira un alto magistrato contabile - che i tagli non incidano sulla buonuscita. Meno male, sarebbe stato un disastro».
Non sono solo gli alti vertici a tremare, anche ai piani più bassi non si sta affatto tranquilli. «Assicurano che i nostri stipendi - spiega un consigliere - non verranno toccati, perché non arrivano alle cifre di cui si parla. Ma temiamo che al governo non si fermino qui. Come potremmo avere dei presidenti che guadagnano come quelli un gradino più sotto? Arriverà un ritocco in basso, sicuro».
Insomma, è un terremoto per le toghe che rappresentano l'organo ausiliario del parlamento nelle materie economico-finanziarie, quello che controlla le spese dello Stato e tante volte si è trovato a indagare su stipendi abnormi e pensioni d'oro.

Più dei magistrati ordinari e come quelli amministrativi, hanno molto da perdere.

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