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La dolce vita dei clan Chiuso dalla Finanza il gran Café de Paris

RomaLe mani della ’ndrangheta nel cuore di Roma. Via Veneto, la strada della Dolce Vita di felliniana memoria, è ripiombata per un giorno agli onori della cronaca. Ma stavolta non c’erano star hollywoodiane o attricette paparazzate, c’erano invece carabinieri e finanzieri a mettere sotto sequestro il «Café de Paris», il locale tanto caro anche a Frank Sinatra e Domenico Modugno. Un blitz che ha sconvolto turisti e residenti, che tra un cappuccino e un cornetto si sono visti piombare i militari del Ros e del Gico. La Dda di Reggio Calabria li aveva portati sin là, nell’ambito di un’indagine riguardante i patrimoni illeciti della cosca che fa capo a Vincenzo Alvaro. Proprio seguendo le attività della cosca si è scoperto che Roma era un punto nodale per il riciclaggio del denaro sporco.
Il bltz ha portato alla luce un patrimonio immenso, con attività intestate a prestanome e a familiari. In dettaglio: 4 appartamenti per un valore di circa 12 milioni di euro in via Budapest, in viale Amsterdam e via dell’Aeroporto; 5 auto di lusso tra cui una Porsche; diverse partecipazioni in società che gestiscono appunto bar nel centro di Roma come il «Time Our Café», il «Clementi», il «Café de Paris», il ristorante-pizzeria «Federico I», il ristorante «George’s» e il caffè «California». Un valore complessivo che supera i 200 milioni di euro. Ora tutti questi locali sono stati affidati ad un amministratore giudiziario nominato e potranno continuare comunque la loro attività.
L’emblema di tutta questa vicenda è appunto proprio il «Café de Paris» il cui titolare risulta essere un semplice barbiere originario di Santo Stefano di Aspromonte, un paese a due passi da Reggio Calabria. Le indagini sono partite proprio indagando sui beni intestati a Damiano Villari (sul cui capo tra l’altro pende un’accusa per violenza sessuale aggravata), l’uomo risultato alla fine essere secondo gli inquirenti solo un prestanome per conto appunto della cosca di Alvaro che nel 2002, dopo aver pagato i conti con la giustizia in Calabria, si trasferì nella Capitale investendo con amici e parenti gran parte dei suoi proventi in attività commerciali. «Noi abbiamo ricostruito il reticolo di società e le relative quote - ha detto il procuratore distrettuale Antimafia Giuseppe Pignatone nel corso di una conferenza stampa -. Alla fine abbiamo verificato, anche grazie alle intercettazioni telefoniche, che le decisioni le prendeva Alvaro». Un uomo intelligente, Alvaro: ufficialmente, infatti, risultava essere un normalissimo dipendente, aiuto-cuoco in uno dei ristoranti sequestrati. Una vita tranquilla, senza lussi, senza eccessi. Ma con un grande acume negli investimenti: il «Café de Paris» sarebbe stato acquistato negli anni scorsi dalla ’ndrangheta per «solo» 250mila euro mentre il suo valore commerciale reale, secondo gli investigatori, è di 55 milioni di euro.

Un business.

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