Cronache

Ecco chi ha coperto la fuga di Corona

Quattro giorni da latitante, poi ha capito che tutto era perso. E si è consegnato ai poliziotti

Ecco chi ha coperto la fuga di Corona

Milano Una facoltosa famiglia di industriali dell'alta borghesia portoghese. Con aziende farmaceutiche sparse in tutto il mondo e residenze anche in Italia e in Brasile. Ma anche un normalissimo milanese trentenne, incensurato, che lo ha accompagnato fino in Francia. La sua collaboratrice, una donna di 37 anni a cui è intestata l'ormai arcinota Fiat 500 che lo ha portato fino in Portogallo. E persino una coppia di Carpi, nel Modenese. Il latitante Fabrizio Corona, quello che aveva confidato all'amico Massimo Emilio Goggi di voler fare la fine di Scarface per «diventare un mito», per scappare ha messo nei guai parecchia gente. E perdipiù per una fuga durata lo spazio di cinque giorni, seguendo una meta nemmeno tanto lungimirante: un traghetto per il Marocco, diciamola tutta, lo avrebbe reso molto meno rintracciabile.
Felpa grigia con cappuccio, sciarpa in lana marrone e il classico paio di occhiali neri, ieri mattina alle 9.44 il 38enne ex titolare dell'agenzia di paparazzi gossipari più nota d'Italia, è entrato in una cabina telefonica della stazione di Monte Abraham - località Queluz, periferia nord-est di Lisbona - e ha chiamato il fido autista Armando, a Quarto Oggiaro, Milano. «Mi vado a costituire» gli ha detto. E da lì ha dettato un audiomessaggio da postare sul sito della sua società, la «Social Network».

In realtà la squadra mobile di Milano, grazie alla collaborazione dell'Interpol, lo aveva individuato con certezza già domenica, tra Lisbona e Cascais. E i poliziotti si erano presentati nel pomeriggio alla stazione Centrale a «ricevere» il 30enne che lo aveva accompagnato fino in Francia, per poi tornare a Milano in treno, lasciando al latitante la Fiat 500. La vettura di una collaboratrice di Corona con la quale l'amico, venerdì, lo era andato a prendere a Carpi.
Dopo aver saputo della condanna definitiva della Cassazione a 7 anni, 10 mesi e 17 giorni di reclusione e prima che arrivasse il provvedimento di carcerazione (senza il quale, va detto, il 38enne non avrebbe mai potuto finire in manette, ndr) il bel Fabry aveva lasciato Milano per la località modenese. Lì si è fatto ospitare da dei vecchi amici, una signora e il suo compagno, in attesa che il suo amico arrivasse a prenderlo con la 500.
I due si sono diretti, attraverso strade secondarie della Lombardia e del Piemonte, fino in Francia. Dove, tra sabato e domenica, a Narbonne, sono stati anche bloccati dalla neve e hanno dormito in macchina. Domenica Fabrizio ha proseguito da solo, mentre l'amico, tra un treno e l'altro, è riuscito a tornare a Milano: in stazione Centrale, insieme alla fidanzata, lo aspettava la squadra mobile.

Una volta solo Fabrizio ha raggiunto Cascais. Dove conosce il 22enne figlio di una importantissima famiglia di industriali farmaceutici con interessi in tutto il mondo e molto rispettati in Portogallo. Pare che i due siano davvero grandi amici. Tuttavia, quando lunedì mattina la questura di Milano ha attivato l'ufficiale di collegamento italiano di stanza in Spagna che, ha raggiunto il Portogallo, per «preparare» l'arrivo dei colleghi della squadra mobile di Milano, la famiglia dell'amico di Corona probabilmente ha cominciato a comprendere in quale guaio si stava infilando. Dare rifugio a un latitante che ha alle costole la polizia non è esattamente un'opera meritoria. E, a parte le conseguenze giudiziarie, screditerebbe parecchio anche gente con importanti aderenze. Insomma: il gioco non valeva proprio la candela. E, nonostante martedì mattina, all'arrivo degli investigatori della squadra mobile, Fabrizio non fosse a Cascais, «qualcuno» deve avergli fatto capire che era meglio se si costituiva. «Sapeva di non avere scampo» ha dichiarato ieri il questore di Milano Luigi Savina. Il cui lavoro, e quello dei suoi investigatori, è stato lungamente lodato dalla Procura di Torino.

E Fabrizio? Al momento dell'arresto piange. Ma poi riprende vigore. «Querelo ogni persona che si permette di dire che ho pianto - dichiara in un messaggio televisivo -. Sono tranquillo, sono sereno, non ho paura. E sono pronto a combattere la mia battaglia».

In puro stile Scarface.

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