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Ecco come si dà la caccia a un evaso

Telecamere, intercettazioni veloci e un team di super esperti con Ros e "teste di cuoio" sulle tracce di Mimmo Cutrì

L'esterno del tribunale di Gallarate, dove è avvenuta la sparatoria
L'esterno del tribunale di Gallarate, dove è avvenuta la sparatoria

Milano - Non hanno superpoteri. E non si servono nemmeno di qualche fantomatico manuale di polizia giudiziaria (che nessuno fortunatamente si sognerà mai di scrivere) per seguire prassi, regole di comportamento e tanto meno una scaletta. Gli uomini delle forze dell'ordine incaricati di scovare un ergastolano come Domenico «Mimmo» Cutrì e la banda che lo ha fatto evadere lunedì a Gallarate, sono una cinquantina di persone in tutto. Coordinate in un'équipe costituita nello spazio di una manciata di minuti dall'evento criminale e unita da un solo credo: l'iniziativa. E un nemico banale ma inesorabile: il tempo, che passando li allontana dal loro obbiettivo. Per questo hanno creato una struttura che si allarga a macchia d'olio a seconda delle informazioni da raccogliere, degli accertamenti da approfondire, dei dati da collegare. Una squadra pronta a ricongiungersi però immediatamente qualora l'elemento emerso si riveli determinante e richieda a tutti di convergere subito verso un unico bersaglio. Un gruppo che ha davvero, senza scomodare James Bond, «licenza di uccidere», perché azzera qualsiasi lungaggine burocratica. E in casi come questi può «mettere sotto» (come si dice in gergo) un telefono nel giro di mezz'ora. O avere qualsiasi autorizzazione della Procura di default, in automatico, senza doverla chiederla.

Ieri in provincia di Varese sono arrivati i Gis, le cosiddette «teste di cuoio» dei carabinieri: all'appello, ormai, manca infatti solo lui, l'ergastolano. E se ancora - anche dopo che tutta la sua banda è stata catturata e il fratello Nino è rimasto ucciso durante l'azione di fuoco organizzata a Gallarate - non ha deciso di costituirsi, potrebbe essere davvero armato fino ai denti, disposto a tutto e quindi pericolosissimo.

Nei giorni scorsi, però, in campo, oltre ai carabinieri di Gallarate e di Varese che conoscono il territorio e sono competenti per legge, coordinate dall'autorità giudiziaria sono scese immediatamente in campo le migliori menti dell'Arma in Lombardia: il nucleo investigativo di Milano, gli uomini del Ros (il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri che ha competenza sulla criminalità organizzata), nonché la sezione dell'Arma dei Carabinieri che per eccellenza svolge attività tecnico-scientifica nell'ambito delle indagini preliminari, gli ormai arcinoti Ris.

Tutti questi esperti, gente d'azione e d'esperienza, però, stavolta hanno sfruttato un privilegio singolare, non comune: avevano a che fare con un gruppo di balordi che hanno organizzato poco e calcolato ancora meno. «Nino era ossessionato dalla liberazione di suo fratello» ha spiegato un po' a tutti nei giorni scorsi la madre dei fratelli Cutrì, donna Antonella. E proprio quell'ossessione ha «bruciato» il commando al quale l'azione, dopo l'agguato di Gallarate, è completamente sfuggita di mano. Il ferimento mortale non programmato di Nino Cutrì ha rallentato il piano, li ha costretti a telefonate incaute e facilmente tracciabili, che li hanno traditi. La Citroen C3 e la Nissan Qashqai rubate rispettivamente a Bernate e ad Arluno la mattina stessa dell'agguato (un errore madornale) li ha resi prede facili delle telecamere che ne hanno immortalato con chiarezza visi, movimenti e vie di fuga. Altre informazioni fondamentali per le indagini sono poi state ricavate dagli investigatori sia dalla provenienza delle armi ritrovate sulle vetture che dal Dna lasciato sempre sulle auto che, altro errore, dovevano essere bruciate subito dopo la fuga. Stavolta gli investigatori hanno vinto in fretta, hanno vinto facile. Mimmo Cutrì è rimasto solo.

Lo sa lui, ma lo sanno anche i carabinieri.

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