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Eliminati big e nomi contestati Ecco il «governo Napolitano»

Sulla squadra il timbro del presidente che ha voluto un "disarmo bilanciato". Il programma: riforma elettorale, contenimento della spesa pubblica e ripresa

Eliminati big e nomi contestati Ecco il «governo Napolitano»

A desso non dite che questo è il governo di Giorgio. «Io non c'entro, l'artefice è lui, il presidente Letta. Io ho soltanto assecondato il suo tentativo e il suo impegno». E non è vero che sull'operazione c'è il timbro presidenziale, perché «l'esecutivo nasce dalle intese tra le forze parlamentari e dal coraggio dei leader». Alle cinque del pomeriggio, quando si presenta nella Loggia alla Vetrata, Napolitano sorride ma sembra un po' stanco. Del resto ha passato buona parte della notte a rianimare una trattativa vicinissima alla rottura e ha dedicato tutta la mattina a spazzare gli ultimi veti. E dopo pranzo due ore fitte fitte le ha spese sistemando la lista assieme all'incaricato. Ora però, al momento di dare la buona novella, minimizza, circoscrive il suo ruolo, lascia a Enrico Letta tutta la scena. In realtà altro che timbro, su alcuni ministri c'è proprio il marchio doc del Quirinale.
E non chiamatelo, insiste, governo di scopo, del presidente, o di servizio, come diceva lo stesso Letta. «Innanzitutto non c'è bisogno di alcuna formula speciale per definirlo. È un governo politico, formato nella cornice istituzionale e secondo la prassi della nostra Costituzione e della nostra cultura parlamentare». Si tratta insomma di un gabinetto «nato tra accordi tra forze politiche che garantiranno la fiducia delle due Camere». Due Camere sottolinea, e non una sì e l'altra forse magari chissà, come pretendeva Pier Luigi Bersani ammiccando ai grillini.
Un governo di larghe intese, come capita in tutta Europa, e che per l'Italia «era l'unico possibile in questa situazione» e «non poteva tardare». Non solo. L'intesa Pd-Pdl-Scelta civica è anche il presupposto per la rielezione di Napolitano, la condizione pretesa dal capo dello Stato per riprendere in mano la macchina istituzionale che si era ingolfata. Il viatico per far ripartire un Paese bloccato.
Sulla carta tutti d'accordo, tutti a battere la mani lunedì durante il discorso del capo dello Stato ai 1.007 grandi elettori, tutti convinti della necessità di un esecutivo di larghe intese, salvo poi seminare ordigni e trappole varie sul percorso del presidente incaricato. Dalle pretese del Pd di varare un governo «a bassa intensità politica», alle richieste opposte del Pdl, che voleva ministri di alto profilo. Un negoziato altalenante, sfibrante, reso ancora più affannoso dai tanti aspiranti da sistemare.
Fino alla svolta decisiva, tra venerdì notte e ieri mattina, quando Napolitano ha deciso di stringere i tempi, inventando la soluzione che ha spianato la strada a Letta: il disarmo bilanciato. Un'idea semplice ma anche geniale: cancellare dall'elenco D'Alema, Violante e altri big del Pd in cambio della rinuncia di candidati del Pdl meno graditi nel centrosinistra. In questa maniera, inserendo giovani, donne e facce nuove, si è pure dato un segnale di cambiamento. Candidature esplosive e contrapposte, come Fassina e Brunetta, si sono poi eliminate a vicenda. La questione della rappresentatività, del profilo, si è accomodata inserendo in squadra il segretario del Pdl Angelino Alfano come unico vice premier e ministro dell'Interno. E il braccio di ferro Pd-Pdl sui dicasteri più delicati Napolitano lo ha risolto come Salomone, imponendo i suoi nomi.
Fabrizio Saccommani ad esempio, dopo i tentativi di agganciare il governatore Visco, lo ha voluto fortemente il capo lui. La ragione sociale del governo, oltre la riforma elettorale, sta infatti nel contenimento della spesa pubblica e nella ripresa economica: secondo il Colle in quel ruolo servono dei veri specialisti. Il secondo grosso problema era la Giustizia: tra Violante e Vietti, alla fine ecco l'equidistante Rosanna Cancellieri. Emma Bonino poi, dall'immagine così forte in Europa, era un'idea che Napolitano rimasticava da tempo. E l'ex presidente dell'Istat Enrico Giovannini era uno dei dieci saggi.
Ma il capo dello Stato mette le mani pure su Enrico Letta. Lo fa fisicamente, appoggiando il braccio sulle spalle e poi intrecciando le dita per la gioia dei fotografi.

Il segnale del corpo è preciso, il messaggio inequivocabile: non disturbate il manovratore perché sul nuovo governo ci è aperto l'ombrello del Colle.

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