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Tra gli ex An resta la voglia di scissione

Dopo il vertice non si smorzano gli attriti con gli ex di Forza Italia. E sulle primarie s'impuntano: no ai delegati

Tra gli ex An resta la voglia di scissione

Roma Siglata davanti alle telecamere la tregua armata tra Berlusconi e il resto del partito, restano sotto traccia anche le frizioni tra ex forzisti e alcuni ex An. Alcuni perché gli eredi di quella che fu la fiamma sono tutt'altro che uniti e compatti. L'ipotesi scissionista, in un partito che resta sull'orlo di una crisi di nervi, non è del tutto accantonata. Ma la separazione, seppur consensuale, rimane sulla punta della lingua: mai detta, forse sussurrata qualche volta; minacciata e, da alcuni ex forzisti, addirittura auspicata. Dal chiuso dell'ufficio di presidenza del partito, in serata, escono spifferi gelidi di una quasi rissa tra gli ex ministri La Russa e Galan. Notizia che viene smentita e corretta: «Semmai lo scazzo grosso c'è stato tra Alfano e Galan. Il primo ha detto al secondo che erano inaccettabile le sue uscite», giura un deputato presente alla riunione. In ogni caso l'episodio rende bene l'idea del clima non proprio amichevole tra i molti schieramenti in campo.

Di motivi per cui i nervi restano tesi ce ne sono parecchi e le ruggini personali si mescolano inesorabilmente a incomprensioni prettamente politiche. La Russa, spalleggiato dall'ex ministro Meloni, da Massimo Corsaro e Fabio Rampelli, ha mal digerito un summit di mercoledì tra il Cavaliere, Verdini, Letta, Alfano e Cicchitto. «Ma come? E noi? Nessuno ci ha chiamati?». Prima ira, poi una ricucitura in extremis dello stesso Berlusconi. Ma lo sgarro non ha certo aiutato a rasserenare gli animi di una pattuglia vicina a La Russa che guarda in cagnesco gli altri. Cosa reciproca, a dir la verità. Così, gli ex aennini si trovano in riunione permanente per discutere, fare squadra, limare le proprie posizioni, calibrare i propri pugni sul tavolo. Gli argomenti non mancano. Uno è di certo quello sulle regole per le primarie. Inizialmente s'era ventilata l'ipotesi di farle all'americana. «Mai e poi mai. La sinistra le fa con l'elezione diretta e noi che facciamo? Mettiamo in campo la fesseria dei delegati? Assolutamente no, non dobbiamo cedere», si sfoga un onorevole. «Così diventerebbe un congresso, noi non ci stiamo», ribatte un altro. Vincono gli ex aennini: l'ipotesi dei delegati viene cancellata con un colpo di bianchetto.

Poi ci sono due questioni calde, legate alla riforma della legge elettorale. Il mondo ex An rimane tifoso delle preferenze mentre Berlusconi - lo ha detto in chiaro - resta scettico. Ma la linea del Pdl non è quella del Cavaliere. L'altro nodo, ben più intricato, riguarda l'accordo sul premio di maggioranza. Chiarissima l'ex ministro Meloni che, durante l'ufficio di presidenza, fa un intervento durissimo: «La proposta del premio di maggioranza a chi raggiunge il 42,5% dei voti è una follia pura! Vuol dire varare un Monti bis senza dichiararlo. Dobbiamo essere chiari e netti. Dobbiamo dire “Mai più Monti bis” e “Mai più al governo con il Pd”». Berlusconi ascolta. A tratti annuisce. Questa volta pure uno come Matteoli, che ha sempre detto che lui, da ex aennino, la scissione non l'avrebbe fatta e non la farà mai, si trova sulla stessa linea della Meloni. È questo il macigno vero che dovrà affrontare chi vincerà le primarie, presumibilmente Alfano. Matteoli, che poco prima ha chiesto a Berlusconi di ricandidarsi a premier, su questo tema è perfettamente in linea con La Russa e i suoi. Il governo tecnico fa danni, è un'eccezione irripetibile. Insomma, meglio perdere difendendo i propri ideali che le ammucchiate. «Dobbiamo difendere il bipolarismo, presidente.

La tua conquista», chiude la Meloni.

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