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Con la fiducia alla Camera e al Senato il governo va avanti

Dopo il voto alla Camera e al Senato il governo resta in carica. A Montecitorio la sfiducia è stata bocciata (314 i no, 311 i sì, 2 astenuti). Più ampia la maggioranza a Palazzo Madama: 162 sì all'esecutivo, 135 contrari, 11 astenuti

Con la fiducia alla Camera e al Senato il governo va avanti

Roma - E' fallito il tentativo di mandare a a casa il governo Berlusconi. Sia alla Camera che al Senato l'esecutivo ha ottenuto la maggioranza. A Montecitorio la mozione di sfiducia al governo non è passata di un soffio: 314 i voti contrari, 311 i sì, 2 gli astenuti. Più ampia la maggioranza a Palazzo Madama. Il governo dunque resta in carica.

Alla Camera uno scarto minimo Sulla carta il centrodestra poteva contare su 309 voti (compresi il liberaldemocratico dissidente Grassano e Cesario, del gruppo di Scilipoti, che già aveva votato la fiducia il 29 settembre scorso) a cui si sono aggiunti quelli di Scilipoti e Calearo e quelli di Catone, Siliquini e Polidori, per un totale appunto di 314. Le opposizioni avevano sulla carta 315 voti, ma le defezioni di tre Fli e il non voto di un altro del Fli come Moffa hanno portato il risultato finale a 311.

Al Senato maggioranza assoluta Con il voto a palazzo Madama il governo ottiene la maggioranza assoluta del Senato. Su 321 senatori, infatti, 162 hanno votato la fiducia, 135 contrari, 11 gli astenuti. Per ottenere il via libera al governo sarebbero bastati 155 voti, visto che i sei senatori a vita erano assenti, così come i tre senatori dell’Svp e Adriana Poli Bortone (Io Sud) il quorum si era abbassato.

Ad abbassarlo ulteriormente è stata l’assenza di Vincenzo Galioto del Pdl, un voto in meno alla maggioranza che però è stato largamente compensato dalla decisione di aggiungersi alla maggioranza da parte di quattro parlamentari che in passato non ne facevano parte: l’ex Pd Riccardo Villari, l’ex Udc Salvatore Cuffaro (oggi vicino al Pid di Calogero Mannino) e Antonio Fosson dell’Union Valdotaine e Sebastiano Burgaretta Aparo, subito espulso dall’Mpa per la sua scelta.

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