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Fini vacilla a un passo dal ko. Pure l'amico Casini lo liquida

Il leader Udc, suo alleato, gli ha consigliato di dimettersi da presidente della Camera Per i centristi ormai è diventato una zavorra. Ma lui non vuole mollare la poltrona

Fini vacilla a un passo dal ko. Pure l'amico Casini lo liquida

Roma - L'ultimo colpo può essere quello decisivo perché in molti descrivono Fini quasi ko: tremebondo, insicuro, demoralizzato e, qualcuno giura, «non è detto che la vicenda abbia risvolti drastici». Dal punto di vista della sua vita privata, però. Di dimissioni da presidente della Camera non se ne parla, infatti, sebbene glielo chiedano tutti: Cicchitto, La Loggia, Vendola, Meloni. E in privato perfino l'amico Casini gli consiglia vivamente l'addio. Ma lui niente: resta aggrappato alla poltrona più alta di Montecitorio. È rimasto Scilipoti a difenderlo, oltre ai suoi. I quali giurano che il presidente della Camera fosse all'oscuro di (quasi) tutto. Difficile a credersi ma tant'è. Di certo c'è che, anche se Fini fosse stato turlupinato dai Tullianos, non ne esce bene. Già il 25 settembre del 2010, travolto dallo scandalo della casa di Montecarlo donata ad An e finita chissà come nelle disponibilità del cognato, Fini cercò di far chiarezza con un messaggio video. Dopo settimane di silenzi disse che soltanto dopo la vendita seppe che nell'appartamento di Boulevard Princesse Charlotte 14 c'era finito il signor Tulliani. E il fatto gli provocò «un'arrabbiatura a dir poco colossale». Insomma, il cognato con Ferrari fiammante bazzicava nella casa di Montecarlo e che fu di An a sua insaputa. Difesa che va di moda tra i politici ma che non rende un buon servigio all'acume del presidente della Camera. Fini non sapeva che tipo fosse Giancarlo Tulliani, sebbene lo frequentasse assieme alla sorella, diventata mamma dei suoi bambini. Poi disse: «Se dovesse emergere con certezza che Giancarlo fosse il proprietario dell'appartamento, non esiterei a lasciare la presidenza della Camera, perché la mia etica pubblica me lo imporrebbe». Dimissioni che, però, non sono mai arrivate e continuano a non arrivare. Disse che era oggetto di una campagna denigratoria del Giornale. Sostenne di essere vittima della «macchina del fango» di questo quotidiano. E quindi non avrebbe lasciato la poltrona.

Poi però è stato l'Espresso, non la «macchina del fango» dei quotidiani di centrodestra, a riaprire il caso. Sono saltati fuori documenti sequestrati nella casa di Francesco Corallo, re delle slot machine (che ieri ha smentito il suo interessamento nella vicenda). Carte roventi: copia del passaporto di Giancarlo Tulliani, copia di quello della sorella Elisabetta e un modulo per l'apertura di un conto corrente a Saint Lucia intestato alla Jayden Holding. Nel modulo, l'effettivo titolare della società viene indicato proprio in Giancarlo Tulliani. Boom. E Fini? Nulla sapeva. Anche se il legale di Corallo è la colonnella in ascesa in Fli, Giulia Bongiorno? Sarà. Turlupinato anche questa volta. Sia da Giancarlo Tulliani sia, ecco la novità, da Elisabetta. Ancora la linea del «mi hanno fatto fesso», con quella nota a caldo: «Quanto scritto dall'Espresso suscita in me profonda amarezza per comportamenti che non condivido. Ma questo è un aspetto tutto e solo privato». Ma il privato investe necessariamente anche il pubblico. Raccontano dell'ira furibonda di Gianfranco nei confronti della sua compagna e della famiglia di lei. Raccontano di aria di crisi e di uno sfogo culminato nell'indulgenza: «È pur sempre la mamma dei miei figli...». Raccontano di una riunione tesissima con Bocchino, Della Vedova, Bongiorno e, al telefono, Menia; dove quest'ultimo, che da sempre ha chiesto al capo di lasciare la presidenza della Camera per ragioni politiche, sia tornato sull'argomento lancia in resta. Dicono che sia arrivato a un passo da darle, le dimissioni. Anche e soprattutto perché l'alleato Casini gliele avrebbe consigliate vivamente. Ovvio: avere un socio impelagato in una vicenda così torbida e soprattutto vedere la reazione del leader Fli, così caparbiamente attaccato alla poltrona, non giova neppure all'Udc. Fini come una zavorra. Da mollare. «C'è mancato poco che Gianfranco lasciasse», giurano i suoi. Poi, a seguito di un giro di consultazioni col Colle avviate dalla fedele segretaria Rita Marino, l'addio è rientrato. Con i colonnelli finiani a ragionare che «le tue dimissioni sarebbero un'ammissione di colpa e non farebbero certo fermare la slavina delle polemiche». E tutti a dire: «Abbiamo bisogno di te».

Mai come adesso, visto che il Fli naviga in acque nere come la pece. Un partito allo sbando, con un capo quasi demolito. E pure tra i colonnelli tira una brutta aria, posto che la settimana scorsa è stato Della Vedova a dar sfogo a tutta la sua rabbia. Il finiano ha infatti minacciato le dimissioni da capogruppo per le scelte di Fini sulla legge elettorale. Della Vedova, convinto sostenitore dei collegi uninominali, ha visto Fini virare verso il pastrocchio proporzionalista. E ha letteralmente sbroccato. Un sintomo di un malessere destinato a deflagrare.

Le elezioni si avvicinano e l'ultimo scandalo non giova. E quanti finiani riusciranno a rientrare in Parlamento?

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