Politica

La folle eredità della Sicilia: chi vince avrà solo debiti

La protesta non fa crollare il voto: alle urne quasi il 38% degli elettori. Oggi il verdetto

Uno su dieci vincerà la battaglia. Ma, chiunque sia, rischia di soccombere subito alla guerra. Perché l'onore di diventare governatore di Sicilia si accompagnerà all'onere di dovere realizzare un miracolo: rimettere a posto, entro la primavera, i conti che, tra bulimia di personale, spesa sanitaria, e sprechi atavici ammonterà, entro la fine del 2012, alla stratosferica cifra di sei miliardi di euro, milione più, milione meno. Un'enormità, che comporta la spada di Damocle del commissariamento. Il che, di fatto, significherebbe nel giro di un paio di mesi, vanificare l'esito, quale che sia, delle elezioni, che si conoscerà oggi. Insomma, chi vince, in fondo, avrà già perso. O almeno, di sicuro, non è che faccia un grande guadagno. Avrebbe dovuto essere «il» tema della campagna elettorale, quello delle casse siciliane allo stremo. Altro che gli show di Grillo, altro che la boutade-provocazione del candidato di Pd e Udc Rosario Crocetta (niente sesso in caso di elezione), altro che le polemiche che hanno caratterizzato lo scontro interno al centrodestra tra il candidato di Pdl e Pid Nello Musumeci (neltondo) e il candidato in solitaria con Grande Sud, Fli e Mpa, Gianfranco Miccichè. E invece niente, i problemi veri solo sullo sfondo. Tanto chi conquista la poltrona, i cocci sono suoi.
Il primo a lanciare l'allarme, una decina di giorni fa, di un rischio default pronto a diventare realtà già nel 2014, è stato uno che i conti li conosce bene, l'assessore regionale all'Economia uscente, Gaetano Armao: «La Regione - ha spiegato - spende circa 2 miliardi per stipendi, pensioni e affini. Circa 800 milioni ci costa il debito, nel 2014 resteranno un miliardo e 700 milioni per fare tutto. Senza misure drastiche e virtuose di riduzione della spesa e senza un negoziato col governo nazionale sul patto di stabilità, il default nel 2014 è sicuro». A rincarare la dose, la Corte dei conti, l'analisi pubblicata qualche giorno fa dal settimanale del centro studi Pio La Torre «Asud'europa». Il quadro tracciato al presidente «x» che oggi verrà fuori dalle urne è a dir poco desolante: 6 miliardi di «buco» entro fine anno, debito in crescita. Il motivo? Uno dei principali è legato al personale, quasi 17mila dipendenti, oltre 1.800 dirigenti, uno ogni dieci abitanti, la spesa sanitaria che assorbe il 48% della spesa globale. Una voragine. E poi i forestali, i precari da stabilizzare che fanno crescere la spesa per il personale, le consulenze. Insomma, il nuovo governatore guiderà un pachiderma mangia-soldi che deve mettersi a dieta forzata. Prima i trasferimenti statali lo foraggiavano, ora non più. E quindi, o si cambia registro o si soccombe.
Chi sarà il vincitore di queste strane elezioni non è un dettaglio. Se la partita è davvero tra Musumeci e Crocetta, alla guida della Sicilia arriverà comunque un uomo che alle spalle ha esperienza amministrativa e soprattutto conoscenza dei meccanismi. Lo stesso dicasi, in parte, per Miccichè, che in Sicilia ha retto il Parlamento regionale, o per la candidata di Sel e Idv, la sindacalista Fiom Giovanna Marano, che di vertenze impossibili se ne intende. Ma se, a sorpresa, dovesse spuntarla il grillino Giancarlo Cancelleri, ieri accolto tra gli applausi dei fan al seggio, che accadrebbe? Come potrebbe un neofita della politica spuntarla su un blocco consolidato qual è la burocrazia regionale? Altro dettaglio non secondario: chiunque vinca, non avrà una maggioranza, per governare dovrà stringere alleanze, accordi. E questo inevitabilmente finirà col rallentare riforme e attività di governo.
Ieri le operazioni di voto si sono svolte con relativa tranquillità. E stando ai primi numeri il temuto crollo dell'affluenza non c'è stato, segno forse che la protesta (col sostegno ai grillini?) si è dirottata sul voto attivo. A mezzogiorno era andato alle urne l'11,3% degli aventi diritto, più del 2008 (10,6%) quando si votava pure per le Politiche e anche il lunedì, meno del 2006, quando si votava un solo giorno, come stavolta e la percentuale si fermò al 13,75%. In linea, anzi in crescita rispetto al 2008, l'affluenza delle 19: 37,6% contro il 34,5% di quattro anni fa. Oggi alle 8 l'apertura delle urne. Ancora poche ore.

E il quadro sarà chiaro.

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