Cronache

Il giardino delle meraviglie scomparso in una cantina

A Roma la famiglia Torlonia nasconde da mezzo secolo una delle più preziose collezioni d'arte del mondo. E nessuno sa che fine abbia fatto

Il giardino delle meraviglie scomparso in una cantina

Follie romane. Nella Capitale c'è un museo fantasma. O meglio. Il museo c'era fino a 50 anni fa. E la collezione pure. Ora, al posto del museo c'è un alveare di 93 mini appartamenti, mentre della collezione s'è persa ogni traccia. Forse conservata negli scantinati dell'edificio o trasportata chissà dove.
É la strana storia della collezione Torlonia. La raccoglie, in vario modo, Alessandro Torlonia e nel 1859 allestisce un museo dalle parti di Via della Lungara; per chi non è di Roma, fra Trastevere e Regina Coeli. Si tratta di 620 statue sulle quali il nobile romano ha messo le mani in vario modo. Buona parte le ha estratte dalle sue tenute sull'Appia e nei dintorni di Fiumicino: a Porto, sede dell'antico porto di Roma, il Porto di Traiano, oggi un lago esagonale con annessa oasi naturalistica. Il resto è il frutto di prestiti non onorati da altre famiglie romane. Già, perchè i Torlonia - per tradizione - hanno sempre fatto i banchieri; anche se per Stendhal erano solo cambia valute. Insomma, prestavano soldi. Ed a garanzia pretendevano opere d'arte. In questo modo, sono entrati in possesso delle collezioni Giustiniani, Cavaceppi, Orsini, Caetani. Quando Alessandro Torlonia non sa più dove mettere tutte queste statue, compra questo palazzotto vicinissimo all'Accademia dei Lincei e concentra la sua collezione nelle 77 stanze dell'edificio. Della raccolta esiste un solo catalogo, preparato nel 1884 (ed oggi la copia è custodita dalla Ashmolean Library di Oxford). Ma già dalla fine dell'Ottocento questo museo non era aperto al pubblico: potevano ammirare le opere solo una selezionata schiera di aristocratici romani. E tale è rimasto anche in epoche più recenti. Raccontano che Ranuccio Bianchi Bandinelli, inventore dell'archeologia romana e direttore generale delle Antichità e delle Arti, nel 1947 pur di vedere la collezione si travestì da spazzino.
L'anno successivo l'edificio che ospita la collezione viene sottoposto a vincoli architettonici. Ma nonostante questo vincolo, tra il 1960 ed il 1970, un altro Alessandro Torlonia riesce ad avere l'autorizzazione a trasformare l'edificio che ospita il museo e la collezione in miniappartamenti. E la collezione scompare per sempre.
Per avere un'idea del valore delle opere in questioni, basta dire che il sovraintendente alle Belle arti di Roma ha detto che la Collezione vale sette volte quelle raccolte a Palazzo Altemps. Tanto per avere un'idea, parte della collezione (quella proveniente dalla famiglia Giustiniani e Cavaceppi) è stata restaurata da Stefano Maderno. Una decina d'anni fa sembrava che Silvio Berlusconi volesse acquistare la collezione per poi offrirla alla cittadinanza. Ma l'operazione non andò in porto per ragioni economiche. Sembra che i 125 milioni offerti non fossero sufficienti per i Torlonia.
E la collezione sprofondò nuovamente nell'oblìo: dimenticata in uno scantinato della Lungara. Nemmeno Sgarbi è riuscito a farla emergere: voleva organizzare un museo esclusivo. Veltroni offrì alla famiglia di ospitarla in un palazzo in via dei Cerchi, dalle parti del Circo Massimo. Niente. I Torlonia hanno rifiutato sempre tutte le offerte. E tenute chiuse le porte. Sicchè c'è anche chi dubita che la collezione sia ancora integra in tutte le parti.
Alessandro Torlonia, però, è coerente. Non tiene nascosta al mondo solo la collezione di 620 statue. Fa altrettanto con la Tomba di Francois. É uno dei più importanti monumenti etruschi, risalente agli ultimi decenni del IV secolo a.C. Ed a scoprirlo nella necropoli di Vulci è stato nel 1857 Alessandro Francois, commissario della Marina del Granducato di Toscana; da qui il nome dell'opera. Gli affreschi della tomba vennero staccati nel 1863 e trasportati a Roma, in un'altra residenza dei Torlonia, Villa Albani: una reggia stile Versailles nel cuore di Roma. Massimo D'Antona venne ammazzato proprio lungo il muro di cinta di Villa Albani. Piccolo particolare. Se oggi un tombarolo trova un “coccio“ romano sul suo terreno lo deve immediatamente denunciare. Se un Torlonia trovava un reperto di questo tipo su un suo terreno, era ed è suo. Non solo: nemmeno lo fa vedere.
Già, perchè questa Tomba di Francois ha fatto la stessa fine della collezione Torlonia: è invisibile. Qualche anno fa venne mandata all'esterno per un restauro. Poi venne esposta per qualche mese a Vulci; quindi, definitivamente sepolta nuovamente a Villa Albani, protetta - dicono - da un sottile strato di carta velina.
In epoche recenti, il Comune di Roma ha cercato in ogni modo di trasformare Villa Albani in un museo in grado di contenere la collezione Torlonia. La famiglia, sulle prime, aveva dato segnali di disponibilità. Ma in cambio voleva l'autorizzazione di realizzare un parcheggio sotterraneo sotto il parco della villa. Poi ha ritirato anche quest'offerta.
L'ultimo Alessandro Torlonia vive in un Palazzo in via della Conciliazione, a due passi dal Vaticano. Quando c'era la Corte Pontificia, Papa Giovanni lo nominò “assistente al Soglio“ (il predecessore Filippo Orsini era scappato con una soubrette). Ha quasi novant'anni. E continua l'arte di famiglia: il banchiere.
I Torlonia sono divisi in due rami: uno di Civitella Cesi, uno del Fucino. I primi sono imparentati con la casa regnante spagnola e con Brooke Shields. Gli altri sono citati da Ignazio Silone. In Fontamara scrive: «In capo a tutto c'è Dio, padrone del cielo, poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. POi vengono le guardie del principe, poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi il nulla, poi ancora il nulla, poi vengono i cafoni».
Inutile dire che ogni richiesta di visionare la collezione Torlonia è stata respinta.


di Fabrizio Ravoni

Commenti